Il Purgatorio

Il Purgatorio e la preghiera per i defunti - Riflessioni sul Purgatorio

Perché pregare per i defunti?

Perché i cattolici pregano per i morti? Ecco una domanda che si fanno spesso i non cattolici. Essendo l'abitudine di pregare per i morti basata sulla credenza del purgatorio, sop­pressa dai riformatori del XVI secolo e pratica­mente sconosciuta dai loro discepoli attuali, questi hanno naturalmente difficoltà a com­prendere questa usanza cattolica. La Chiesa mette quest'esercizio di devozione sotto gli occhi dei suoi figli, permettendo ad ogni prete di celebrare tre Messe per i defunti il 2 novem­bre. Inoltre consacra tutto il mese di novembre alle preghiere speciali dedicate alle anime del purgatorio. Invitiamo perciò i nostri lettori non cattolici ad esaminare con noi come questi esercizi di devo­zione si basino sulla Sacra Scrittura, la tradi­zione e la ragione.

Purgatorio e preghiera per i morti

La Sacra Scrittura ci obbliga a pregare, duran­te la vita, ed a ricorrere all'intercessione dei Santi e degli Angeli non solamente per i vivi, ma anche per i morti. Nel secondo libro dei Mac­cabei si racconta come Giuda, vincitore di Gorgia, ritornò con i suoi compagni per seppel­lire gli ebrei caduti in combattimento: "Fece fare fra questi uomini una colletta che raggiun­se la somma di 2.000 dracme d'argento. Inviò questa somma a Gerusalemme per offrire un sacrificio per i peccati dei caduti". Egli non considerava gravi i loro peccati poi­ché, dice il testo, "pensava che a coloro che si erano addormentati devotamente fosse riserva­ta la migliore delle ricompense. L'autore sacro ne trae l'insegnamento contenu­to in questo passaggio: "Santo e pio pensiero! E' perché fossero liberati dai loro peccati che egli offrì quest'espiazione per i morti" (Macc. XII, 43-46). Quantunque i nostri fratelli separati non consi­derino come ispirati i libri dei Maccabei, devo­no tuttavia ammettere che sono almeno dei documenti storici autentici, che attestano la fede degli Ebrei due secoli prima di Cristo. Infatti la loro autenticità si basa sulla stessa autorità di Isaia, di san Giovanni, di altri libri santi e sull'insegnamento infallibile della Chie­sa, che dichiara ispirati i libri della Bibbia. Il nostro Salvatore parla del perdono dei pecca­ti nel "mondofuturo" (Matt. XII, 32).

Secondo sant'Agostino e san Gregorio il Gran­de, questo passo si riferisce al purgatorio. Nella sua epistola ai Corinti, san Paolo scrive: "L'opera di ciascuno diverrà mantfesta; il Giorno del Signore la farà conoscere, poiché deve rivelarsi nel fuoco, ed è questo fuoco che proverà l'opera di ciascuno. Se l'opera è co­struita sul fondamento, resiste [cioé se le opere di ciascuno sono buone] e il suo autore riceverà la ricompensa; ma se l'opera è consumata [cioé se le sue opere sono difettose ed im­perfette] egli ne subirà la perdita; in quanto a lui sarà salvato, ma come attraverso il fuoco (Cor. III, 13-15). Con queste parole san Paolo ci dice che tale anima sarà salvata, sebbene debba subire per un certo periodo le fiamme del fuoco purificato­re [purgatorio]. Questa è l'esegesi unanime dei primi Padri della Chiesa; tale è la tradizione costante dei secoli, che ci parla delle tombe dei martiri e delle cata­combe dove sono seppelliti i corpi dei primi cri­stiani. L'autore ha visto nelle catacombe di san Callisto, alle porte di Roma, numerose iscrizio­ni che erano un'eco delle ultime parole dei cri­stiani morenti: "Nelle vostre preghiere pensate a noi che vi abbiamo preceduti". A questa face­va eco la risposta dei superstiti: "Che la luce eterna brilli su dite nel Cristo". Tali iscrizioni si trovano pure sui monumenti funebri di numerosi crstiani nel corso dei primi tre secoli. Si citano spesso i Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente a proposito dell'abitudine di prega­re per i defunti.

Tertulliano (160-240 d; C.) parla in due diversi passi delle Messe commemo­rative: "Noi offriamo ogni' anno un giorno spe­ciale dedicato al sacrificio per i morti come all'anniversario della loro nascita" , e "la vedova credente prega per l'anima del suo sposo (che è nel riposo) e aspetta affinché abbia parte alla prima resurrezione , offrendo per lui pre­ghiere nell'anniversario della sua morte". Nella sua orazione funebre per l'imperatore Teodosio, sant'Ambrogio, vescovo di Milano, dice: "Accor­da al tuo servitore Teodosio il riposo perfetto; quel riposo che hai preparato per i Santi... Io l'ho amato, e perciò voglio seguirlo nella terra dei viventi; non l'abbandonerò fino a che Tu non l'abbia chiamato sulla santa montagna". Uno dei racconti più toccanti che ci furono tra­smessi a questo proposito negli scritti dei Padri della Chiesa è dovuto aJla penna di sant'Ago­stino, all'inizio del V secolo. Il vescovo sapiente racconta che sua madre, arrivata all'ora della morte, gli indirizzò quest'ultima preghiera: "Seppellisci il mio corpo dove vuoi; non ti preoccupare di esso. Ma io ti prego solamente, ovunque tu sia, di ricordarti di me all'altare del Signore. Il ricordo di questa domanda ispirò a sant 'Agostino quest'ardente preghiera: "Per questo ti imploro, mio Dio, con tutto il mio cuore, per i peccati di mia niadre: che riposi in pace con il suo sposo... E ispira, o Signore, ai tuoi servitori, miei fratelli (che io serva con la lingua, il cuore e la penna) ed a tutti coloro che leggeranno queste righe di ricordarsi, all'alta­re, della tua serva Monica". Si trova qui l'eco dell'uso generale nella Chiesa primitiva di pregare per i defunti, come pure la credenza ad uno stato chiamato purgatorio (fuoco purificatore). L'usanza di offrire preghiere e sacrifici per le anime dei parenti defunti era profondamente radicata nell'antico giudaismo. Essa si è conser­vata fino ai nostri giorni., malgrado le migrazio­ni e la dispersione degli Ebrei nel mondo intero. Alcuni anni or sono l'autore ha visto un gran numero di ebrei pregare per i loro defunti al muro dei lamenti di Gerusalemme.

Un libro di preghiere, il cui uso è generale presso gli Ebrei d'America, contiene la formula di preghiera seguente per le cerimonie dei defunti: "Fratello scomparso, possa tu ritrovare aperte le porte del cielo e vedere la città della pace ed il luogo sicuro di delizie; che gli Angeli si affrettino al tuo incontro per servirti: che il Padre sia pron­to ad accoglierti. Va' fino alla meta: riposa in pace e risuscita per la vita. Che il soggiorno nel luogo delle delizie del cielo sia il premio, la dimora ed il luogo di riposo dell 'anima del no­stro fratello defunto: che lo Spirito del Signore conduca in Paradiso questo fratello che è usci­to da questo mondo per vòlontà di Dio, Maestro del cielo e della terra. Che il Gran Re dei Re, nella sua Misericordia infinita, lo nasconda nell'ombra delle sue ali: che si risvegli alla fine dei suoi giorni e si abbeveri al torrente delle delizie". Difatti è strano, nota il padre B. L. Conway C.S.P., che i riformatori abbiano scartato, tutta in blocco, una tale massa di testimonianze (concernenti il purgatorio e l'intercessione dei morti) contenute nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Ma nel Vangelo di Cristo gli inse­gnamenti sono così legati gli uni agli altri che la negazione di un dogma fondamentale trascina logicamente quella di numerosi altri.

La sola opinione sbagliata di Lutero, concernente il perdono per mezzo della fede, l'ha condotto a negare la differenza fra peccato mortale e veniale (riguardo ai castighi temporali), la ne­cessità delle buone opere, l'efficacia delle in­dulgenze e l'utilità della preghiera per i morti. Se i peccati non sono rimessi, ma solo «coper­ti», se il «nuovo uomo» del Vangelo è il Cristo che imputa la Sua giustizia all'uomo peccatore, sarebbe effettivamente insensato "pregare per i morti, affinché siano liberati dai loro peccati". La negazione del purgatorio da parte di Lutero ha come conseguenza: o la dottrina che insegna che la maggior parte dei cristiani devoti sono dannati (ciò che spiega, fino ad un certo punto, la negazione moderna dell'eternità delle pene), oppure la supposizione senza garanzia che Dio, al momento della morte, purifichi l'anima con un subitaneo cambiamento magico. Quantunque la parola «purgatorio» non si trovi nella Sacra Scrittura, l'Antico e il Nuovo Testamento, come gli scritti dei Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente fanno allusione alla realtà che esso designa simbolicamente, poiché la credenza nell'efficacia della preghiera per i morti non avrebbe né senso, né significato, se il purgatorio non esistesse.

La ragione esige il purgatorio

Anche se mancassero le prove che ci vengono fornite dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, la ragione farebbe supporre l'esistenza d'uno stato intermedio fra il cielo e l'inferno: essa lo esigerebbe. Pensando al fatto che "nulla di sporco può entrare in cielo" si deduce che un'anima, uscendo da questa vita con un peccato veniale o una pena non scontata, non potrebbe entrare i cielo. Essa non potrebbe pure, secondo la giustizia, essere mandata all'inferno che dura etei namente, poiché non ci sarebbe alcuna proporzione fra una tale punizione e il peccato coni messo. E probabile che un enorme numero di esser umani muoia con dei peccati veniali. Quest’anime non sono degne di entrare immediatamente in cielo, ma non possono, secondo giustizia, essere condannate all'inferno. Ci deve essere un altro stato dove la pena sia proporzionata alla colpa. E ciò che anche la sola ragione reclama.

Questo stato che essa esige è il purgatorio, dove le anime sono purifi­cate dalle loro leggere imperfezioni e rese anche adatte ad accedere alla suprema presenza del loro Creatore e Signore, alla felicità inesprimi­bile del cielo. Non solo la preghiera per i defunti è in armonia con la Sacra Scrittura, ma anche il nostro istinto naturale ci spinge a cre­derlo. La dottrina della comunione dei santi sottolinea la solidarietà sociale e spirituale del genere umano, insegnandoci chiaramente in che modo possiamo aiutarci vicendevolmente nei nostri bisogni. Essa contribuisce molto a levare alla morte il suo carattere spaventoso. Negando questa dottrina, i riformatori del XVI secolo non hanno soltanto fatto violenza alla Sacra Scrittura e ad una tradizione ininterrotta di quindici secoli della Chiesa cristiana, ma hanno pure violentato e turbato il nostro istinto naturale ed i desideri del nostro cuore inter­rompendo i teneri legami che uniscono la terra al cielo, l'anima nella carne con l'anima libera­ta dal suo involucro terreno. Se posso pregare per mio fratello fintantoché èsulla terra, perché non posso pregare per lui una volta che ha oltrepassato la soglia dell'eter­nità? Distruggendo il corpo, la morte non lascia l'anima intatta? Quest'anima non continua per conseguenza a vivere, a pensare, a ricordarsi, ad amare? Per quale motivo terreno non dovrei più né pensare a mio fratello, né continuare a provargli il mio amore, non con delle lacrime inutili, ma con il mezzo efficacissimo della mia preghiera per lui? Come potrebbe restare un cristiano presso la tomba aperta, in cui vede scendere il cadavere di un essere amato, senza alzare al cielo i suoi occhi rossi e pieni di lacri­me e fare questa preghiera: "O Dio, abbi pietà dell'anima del mio caro defunto"? Senza avere riguardo al silenzio della sua reli­gione, circa l'efficacia delle preghiere per i morti, il protestante presta l'orecchio alla voce del suo cuore ed a quella del linguaggio univer­sale dell'amore e della simpatia che comprendo­no tutti gli uomini. D

alle labbra mute del suo amico defunto, ha capito questa stessa supplica che Giobbe, nella sua disgrazia, indirizzava ai suoi amici: "Abbiate pietà di me, voi almeno che siete miei amici, poiché la mano del Signore mi ha colpito". Il fatto che nessun orecchio resti sordo ad una tale preghiera è la prova che il cuore umano non si è lasciato strappare il suo amore e la sua simpatia dal pregiudizio religioso. Riguardo alle anime che, oltrepassata la soglia della morte, sono entrate nell'eternità e, dal purgatorio, ci domandano un ricordo nelle nostre preghiere, noi possiamo dire sincera­mente: "Non possiamo pià toccarli con le nostre mani; i nostri occhi non possono pià vederli; ma, grazie a Dio, il nostro amore e le nostre preghiere possono sempre raggiungerli". Dopo più di cinquant'anni d'esperienza nel ministero pastorale, il cardinale Gibbons rac­conta un fatto che ci spiega questo punto: "Ho visto una ragazza affacendarsi, piena di bon­tà, attorno al padre malato, teneramente amato. Durante i lunghi giorni di angoscia e le notti di veglia, ella stette vicino al letto del malato, umidendogli le labbra secche, rinfrescan­do la sua fronte bruciante, rimettendo a posto sul cuscino la sua testa che scivolava. Ogni volta che il suo paziente migliorava o peggio­rava era per il suo cuore come un raggio di sole o una nuvola scura di tristezza.

L'amore filiale era il gran movente di tutta la sua atti­vità. Suo padre morì; ella accompagnò al cimitero la sua spoglia mortale. Non era cattolica; ma quando fu là, in piedi, vicino alla bara, rom­pendo le catene del crudele pregiudizio religio­so che aveva chiuso il suo cuore, si alzò al di sopra della sua setta gridando: «Signore, abbi pietà della sua anima! » Era la voce della natu­ra e della religione". Anche Tennyson riflette la tradizione cristiana e il desiderio naturale al cuore dell'uomo, quando mette nella bocca del suo eroe, il morente re Arturo, queste parole indirizzando­le al suo fratello d'armi che gli sopravvisse: "Ho vissuto; ciò che ho fatto, Dio lo purifwhi nella sua bontà; ma tu, se non dovessi mai più rive­dere il mio viso, prega per me. La preghiera può fare più del sogno di questo mondo. PercLo, giorno e notte, fa' salire la tua voce come quel­la di una sorgente".

Un insegnamento che ci convince

Allorché John L. Stoddart, dopo aver goduto la sicura luce della verità religiosa, brancolava nella nebbia del dubbio, ricevette da un amico cattolico una lettera che attirò la sua attenzione sulla bellezza dell'insegnamento della Chiesa e sulla sua armonia con la religione. Questa lette­ra che, secondo la testimonianza dello stesso Stoddart, fu per lui sorgente di luce e di confor­to, presenta il problemà del purgatorio con un incredibile chiarezza: "Non esistono sistemi religiosi dell'antichità dove non si trovi qualco­sa di simile [al purgatorio]. E riservato ai rifor­matori del XVI secolo di rigettare questo antico dogma della Chiesa. Quando negarono la san­tità della Messa e di numerosi altri caratteri sacramentali del cattolicesimo, scomparve an­che la dottrina del purgatorio. Se le anime dei morti passano, immediatamente e per l'eternità, ad uno stato inalterato che è al di fuori dell'efficacia della nostra intercessio­ne, tutte le nostre reliquie, le nostre preghiere e le nostre pratiche analoghe sono vane. Ma se noi crediamo alla comunione dei santi, cioè all'unione fra la tripla Chiesa: militante di questa terra, purgante del purgatorio e trionfan­te del cielo, allora possiamo avere un'influenza sulle anime che hanno oltrepassato la soglia del­l'aldilà ed esse possono averne su di noi. Raramente coloro che abbandonano questa vita sono in uno stato perfetto di grazia che as­sicuri loro l'entrata immediata in cielo. Spe­riamo siano pur pochi coloro a cui il rifugio benedetto del purgatorio è negato. Non posso figurarmi come i protestanti possano credere in una cosa simile. Non è strano il fatto che la negazione del purgatorio conduca molti, come conseguenza, all'idea della negazione dell'in­ferno. Quest'ultima dottrina è mostruosa consi­derata in se stessa. Tutti i dogmi cattolici dipendono gli uni dagli altri: si tengono o cado­no insieme come le pietre di uno stesso edificio.

Il purgatorio è una delle idee più umane e più belle che si possano concepire. Quanti cuori afflitti di madri non ha calmato e consolato, dando loro speranza per un figlio traviato!" Dopo la sua conversione, Stoddart scrisse la storia delle sue divagazioni religiose nel libro Rebuilding a lost Faith (Riedificazione di una fede perduta). Egli espose, nei termini seguenti, la conformità di questo insegnamento, che gli piaceva tanto, con le esigenze della ragione: "La dottrina della Chiesa cattolica concernente il purgatorio insegna che c 'è un luogo dove le anime soffrono durante un certo tempo prima di essere ammesse alle gioie del cielo, poiché esse devono purificarsi da certi peccati veniali, debolezze e colpe, o devono ancora subire, per i peccati mortali, delle pene temporali che non hanno ancora subito, quantunque la.pena eter­na dovuta a questi fatti sia stata loro rimessa per l'espiazione di Cristo. Del resto, la Chiesa dichiara che, tramite le nostre preghiere ed il Gorgia, ritornò con i suoi compagni per seppel­lire gli ebrei caduti in combattimento: "Fece fare fra questi uomini una colletta che raggiun­se la somma di 2.000 dracme d'argento. Inviò questa somma a Gerusalemme per offrire un sacrifwio per i peccati dei caduti". Egli non considerava gravi i loro peccati poi­ché, dice il testo, "pensava che a coloro che si erano addormentati devotamente fosse riserva­ta la migliore delle ricompense".

L'autore sacro ne trae l'insegnamento contenu­to in questo passaggio: "Santo e pio pensiero! E' perché fossero liberati dai loro peccati che egli offrì quest'espiazione per i morti" (Macc. XII, 43-46). Quantunque i nostri fratelli separati non consi­derino come ispirati i libri dei Maccabei, devo­no tuttavia ammettere che sono almeno dei documenti storici autentici, che attestano la fede degli Ebrei due secoli prima di Cristo. Infatti la loro autenticità si basa sulla stessa autorità di Isaia, di san Giovanni, di altri libri santi e sull'insegnamento infallibile della Chie­sa, che dichiara ispirati i libri della Bibbia. Il nostro Salvatore parla del perdono dei pecca­ti nel "mondo futuro " (Matt. XII, 32). Secondo sant'Agostino e san Gregorio il Gran­de, questo passo si riferisce al purgatorio. Nella sua epistola ai Corinti, san Paolo scrive: "L'opera di ciascuno diverrà manifesta; il Giorno del Signore la farà conoscere, poiché deve rivelarsi nel fuoco, ed è questo fuoco che proverà l'opera di ciascuno. Se l'opera è co­struita sul fondamento, resiste [cioé se le opere di ciascuno sono buone] e il suo autore riceverà la ricompensa; ma se l'opera è consumata [cioé se le sue opere sono difettose ed im­perfette] egli ne subirà la perdita; in quanto a lui sarà salvato, ma come attraverso il fuoco (Cor. III, 13-15). Con queste parole san Paolo ci dice che tale anima sarà salvata, sebbene debba subire per un certo periodo le fiamme del fuoco purificato­re [purgatorio].Questa è l'esegesi unanime dei primi Padri della Chiesa; tale è la tradizione costante dei secoli, che ci parla delle tombe dei martiri e delle cata­combe dove sono seppelliti i corpi dei primi cri­stiani. L'autore ha visto nelle catacombe di san Callisto, alle porte di Roma, numerose iscrizio­ni che erano un eco delle ultime parole dei cri­stiani morenti: "Nelle vostre preghiere pensate a noi che vi abbiamo preceduti". A questa face­va eco la risposta dei superstiti: "Che la luce eterna brilli su dite nel Cristo Tali iscrizioni si trovano pure sui monumenti funebri di numerosi crstiani nel corso dei primi tre secoli. Si citano spesso i Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente a proposito dell'abitudine di prega­re per i defunti.

Tertulliano (160-240 d; C.) parla in due diversi passi delle Messe commemo­rative: "Noi offriamo ogni anno un giorno spe­ciale dedicato al sacrifwio per i morti come all'anniversario della loro nascita", e "la vedo­va credente prega per l'anima del suo sposo (che è nel riposo) e aspetta affinché abbia parte alla prima resurrezione, offrendo per lui pre­ghiere nell'anniversario della sua morte". Nella sua orazione funebre per l'imperatore Teodosio, sant'Ambrogio, vescovo di Milano, dice: "Accor­da al tuo servitore Teodosio il riposo perfetto; quel riposo che hai preparato per i Santi... Io l'ho amato, e perciò voglio seguirlo nella terra dei viventi; non l'abbandonerò fino a che Tu non l'abbia chiamato sulla santa montagna. Uno dei racconti più toccanti che ci furono tra­smessi a questo proposito negli scritti dei Padri della Chiesa è dovuto alla penna di sant'Ago­stino, all'inizio del V secolo. Il vescovo sapiente racconta che sua madre, arrivata all'ora della morte, gli indirizzò quest'ultima preghiera: "Seppellisci il mio corpo dove vuoi; non ti preoccupare di esso. Ma io ti prego solamente, ovunque tu sia, di ricordarti di me all'altare del Signore". Il ricordo di questa domanda ispirò asant'Agostino quest'ardente preghiera: "Per questo ti imploro, mio Dio, con tutto il mio cuore, per i peccati di mia madre: che riposi in pace con il suo sposo... E ispira, o Signore, ai tuoi servitori, miei fratelli (che io serva con la lingua, il cuore e la penna) ed a tutti coloro che leggeranno queste righe di ricordarsi, all'alta­re, della tua serva Monica". Si trova qui l'eco dell’uso generale nella Chiesa primitiva di pregare per i defunti, come pure la credenza ad uno stato chiamato purgatorio (fuoco purificatore). L'usanza di offrire preghiere e sacrifici per le anime dei parenti defunti era profondamente radicata nell'antico giudaismo. Essa si è conser­vata fino ai nostri giorni., malgrado le migrazio­ni e la dispersione degli Ebrei nel mondo intero.

Alcuni anni or sono l'autore ha visto un gran numero di ebrei pregare per i loro defunti al muro dei lamenti di Gerusalenime. Un libro di preghiere, il cui uso è generale presso gli Ebrei d'America, contiene la formula di preghiera seguente per le cerimonie dei defunti: "Fratello scomparso, possa tu ritrovare aperte le porte del cielo e vedere la città della pace ed il luogo sicuro di delizie; che gli Angeli si affrettino al tuo incontro per servirti: che il Padre sia pron­to ad accoglierti. Va fino alla meta: riposa in pace e risucita per la vita. Che il soggiorno nel luogo delle delizie del cielo sia il premio, la dimora ed il luogo di riposo dell'anima del no­stro fratello defunto: che lo Spirito del Signore conduca in Paradiso questo fratello che è usci­to da questo mondo per volontà di Dio, Maestro del cielo e della terra. Che il Gran Re dei Re, nella sua Misericordia infinita, lo nasconda nell'ombra delle sue ali: che si risvegli alla fine dei suoi giorni e si abbeveri al torrente delle delizie". Difatti è strano, nota il padre B. L. Conway C.S.P., che i riformatori abbiano scartato, tutta in blocco, una tale massa di testimonianze (concernenti il purgatorio e l'intercessione dei morti) contenute nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Ma nel Vangelo di Cristo gli inse­gnamenti sono così legati gli uni agli altri che la negazione di un dogma fondamentale trascina logicamente quella di numerosi altri. La sola opinione sbagliata di Lutero, concernente il perdono per mezzo della fede, l'ha condotto a negare la differenza fra peccato mortale e veniale (riguardo ai castighi temporali), la ne­cessità delle buone opere, l'efficacia delle in­dulgenze e l'utilità della preghiera per i morti. Se i peccati non sono rimessi, ma solo «coper­ti», se il «nuovo uomo» del Vangelo è il Cristo che imputa la Sua giustizia all'uomo peccatore, sarebbe effettivamente insensato "pregare per i morti, affinché siano liberati dai loro peccati". La negazione del purgatorio da parte di Lutero ha come conseguenza: o la dottrina che insegna che la maggior parte dei cristiani devoti sono dannati (ciò che spiega, fino ad un certo punto, la negazione moderna dell'eternità delle pene), oppure la supposizione senza garanzia che Dio, al momento della morte, purifichi l'anima con un subitaneo cambiamento magico. Quantunque la parola «purgatorio» non si trovi nella Sacra Scrittura, l'Antico e il Nuovo Testamento, come gli scritti dei Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente fanno allusione alla realtà che esso designa simbolicamente, poiché la credenza nell'efficacia della preghiera per i morti noii avrebbe né senso, né significato, se il purgatorio non esistesse.

Ciò che il concilio di Trento dice del purgatorio

Considerando che la Chiesa cattolica (istruita dallo Spirito Santo, e fondata sulle Sacre Scritture e l'antica Tradizione dei Padri nei santi Concili, compreso recentemente l'ultimo Concilio ecumenico) ha insegnato che il purga­tono esiste e che le anime vi sono trattenute per essere aiutate dai suffragi dei fedeli e special­mente dal sacrificio dell'Altare, il santo Concilio prescrive ai vescovi di vegliare affinché la sana dottrina del purgatorio, ricevuta dai santi Padri e dai santi Concili, sia creduta, pro­fessata ed affermata dai fedeli e sia predicata con zelo (Concilio di Trento Sessione VI. Cf. Denzinger n. 983). Che sia anatema colui che dopo aver ricevuto la grazia del perdono dice che sono rimesse al pec­catore pentito la colpa e la pena eterna, in modo che non gli resti più alcuna pena tempo­rale da subire in questo mondo o in purgatorio prima che gli possa essere accordata l'entrata nel regno dei cieli (Concilio di Trento, Sessione VI. Cf. Denzinger n.840).

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it