Il Purgatorio

Capitolo 2-25: Vantaggi della divozione per le anime purganti: pensiero salutare e riconoscenza da parte loro.

Vedemmo quanto la carità verso i morti è davanti a Dio santa e salutare: Sancta cogitatio. Ci rimane a considerare. quanto è in se stessa per noi medesimi salutare: Salubris cogitatio. Se l'eccellenza dell'opera in se stessa è un sì potente motivo per farla, non ne sono un minore stimolo i preziosi vantaggi che noi vi troviamo. Da una parte essi consistono nelle grazie, che riceviamo a cambio della nostra beneficenza; dall'altra, nel fervore cristiano, che ci inspira questa buona opera.

Beati, dice il Salvatore nostro, i misericordiosi, perché otterranno misericordia (Matteo, V, 7). Beato l'uomo, dice lo Spirito Santo, che si ricorda dell'indigente e del povero: il Signore lo libererà nel giorno cattivo (Salmo 40). In verità vi dico: tutte le volte che esercitaste misericordia col minimo dei miei fratelli, a me l'avete fatta (Matt., ,XXV; 40). Siavi misericordioso il Signore, come voi lo foste coi defunti (Rut, I, 8). Queste diverse parole, nel loro senso più elevato, s'intendono della carità verso i defunti.

Tutto ciò, dice S. Ambrogio nel suo libro degli Officii, che si offre a Dio per carità ai morti, si cambia in merito per noi, e dopo morte ne ritroviamo il centuplo: Omne quod defuctis impenditur, in nostrum tandem meritum commutatur et illud post mortem centuplum recipimus duplicatum. Si può dire che il sentimento della Chiesa, dei suoi Dottori e dei suoi Santi può esprimersi con questa sola frase: Quanto fate pei morti, lo fate nel modo più eccellente per voi stessi, La ragione ne è, che quest'opera di misericordia vi sarà resa al centuplo, nel giorno in cui voi stessi sarete nel bisogno. Qui si può applicare la celebre parola di S. Giovanni di Dio, quando agli abitanti di Granata domandò di far l'elemosina per loro stessi. Quel caritatevole santo, per soccorrere ai bisogni degli infermi che manteneva nel suo spedale, percorreva le contrade di Granata, gridando: Fate limosina, miei fratelli, fate limosina per amore di voi medesimi. Si facevano le meraviglie di questa novella formo la, essendo assuefatti a udir dire: l'elemosina per amor di Dio. - Perché, si diceva al santo, chiedete limosina per amar di noi stessi? - Perché rispondeva, è il gran mezzo di riscattare i nostri peccati, secondo quella parola del Profeta: Colla limosina riscatta i tuoi peccati e le tue iniquità colla misericordia verso i poveri (Daniel, IV, 24). Facendo la limosina, curate lo stesso vostro interesse, poiché con essa vi sottraete ai più terribili castighi meritati dai vostri peccati.» Non si dovrà dire che tutto ciò sia vero riguardo alla limosina che facciamo alle povere anime del Purgatorio? L'aiutarle è un preservare noi stessi da quelle terribili espiazioni alle quali altrimenti non possiamo sfuggire. Dunque con S. Giovanni di Dio possiamo gridare: fate loro la limosina dei vostri suffragi, soccorretele per amore di voi stessi.

Dicemmo che la beneficenza verso i morti è contraccambiata e ricompensata con ogni sorta di grazie, la cui sorgente è la riconoscenza delle anime e quella di Gesù Cristo, che considera come fatto a lui stesso il bene che si fa alle anime.

Santa Brigida nelle sue Rivelazioni attesta, che dal fondo delle infiammate caverne del Purgatorio udì una voce che pronunziava queste parole: «Sia benedetto, ricompensato, chiunque ci solleva in queste pene!» Ed un'altra volta: «O Signor Iddio, piegate tutta la vostra onnipotenza per ricompensare col centuplo quelli che coi loro suffragi ci aiutano, e che ai nostri occhi fanno risplendere un raggio del divino vostro splendore».

D'altra parte è ben facile il comprendere la riconoscenza delle anime. Se aveste liberato un prigioniero dalla più dura schiavitù, non sarebbe egli riconoscente per un tal bene tizio? Quando l'imperatore Carlo V, si impadronì della città di Tunisi, mise in libertà ventimila schiavi cristiani, prima della sua vittoria ridotti alla più spaventevole condizione. Penetrati da riconoscenza pel loro benefattore, benedicendolo, lo circondavano, cantando le sue lodi. Se ad un infermo disperato rendeste la sanità, la fortuna ad un infelice caduto nella indigenza, non l'accogliereste forse la loro gratitudine e le loro benedizioni? E sentiranno diversamente anime sì sante e sì buone riguardo ai loro benefattori, esse, la cui prigionia, le cui sofferenze furono assai più dure d’ogni altra prigionia, indigenza e malattia terrena? Sopratutto vengono loro incontro nel momento della morte, per proteggerli, accompagnarli ed introdurli nell'eterna requie.

Più sopra parlammo di santa Margherita da Cortona e del suo affetto pei morti. Riferisce la storia che alla sua morte vide presso di sé una moltitudine di anime che aveva liberate e che venivano a farle corteggio per condurla in Paradiso. Una santa persona di Città di Castello, rapita in ispirito nel momento in cui Margherita abbandonava la terra, vide la beata sua anima in mezzo a quel celeste stuolo.

S. Filippo Neri, per le anime del Purgatorio aveva una tenerissima divozione, e la sua inclinazione lo portava sopratutto a pregare per quelle di cui aveva diretto la coscienza. Si credeva più obbligato verso di esse, perché la Provvidenza le aveva particolarmente a lui affidate. A suo modo di vedere, la sua carità doveva seguirle fino alla loro intera purificazione ed alla loro entrata nella gloria. Assicurava ugualmente che per loro mezzo aveva ricevuto molte grazie. Dopo la sua morte, un Padre francescano pregava nella cappella ov'erano stati deposti i venerati suoi avanzi, quando gli apparve il santo, circondato di gloria, in mezzo ad un brillante corteggio. Il religioso, guadagnato dall'aria di bontà e famigliarità con la quale il santo lo guardava, gli domandò chi erano quei numerosi beati che lo circondavano. Gli rispose il santo, essere le anime di quelli ai quali era stato utile nella mortale sua vita, e che coi suoi suffragi aveva liberati dal Purgatorio. Aggiunse che erano venute ad incontrarlo al suo uscire dal mondo, per introdurlo alla loro volta nella celeste Gerusalemme.

«Non v'è dubbio, dice il pio Padre Rossignoli, che i primi favori che le anime liberate dopo la loro entrata nella gloria, domandano alla divina misericordia, siano per quelli che loro aprirono le porte del Paradiso, e non mancheranno di pregare per essi tutte le volte che li vedranno in qualche bisogno o pericolo. Nei rovesci di fortuna, nelle malattie, negli accidenti d'ogni genere, saranno i loro protettori. Crescerà il loro zelo quando si tratterà degli interessi dell'anima, li aiuteranno potentemente a vincere le tentazioni, a praticare buone opere, a morire cristianamente, a sottrarsi alle espiazioni dell'altra vita». Il Cardo Baronio racconta che una persona assai caritatevole verso le anime si trovò in punto di morte fra vive angosce. Seri timori le insinuò lo spirito delle tenebre, ed alla sua anima velando la dolce luce delle divine misericordie, tentava gettarla nella disperazione; quando tutto ad un tratto sembrò aprirsi ai suoi occhi il Cielo e discenderne migliaia di difensori, che volarono in suo soccorso, rianimando la sua confidenza e promettendole la vittoria. Confortata da tal inatteso aiuto, domandò ai suoi difensori chi erano: «Siamo, risposero, le anime che i vostri suffragi liberarono dal Purgatorio; alla nostra volta veniamo ad aiutarvi, e ben presto vi condurremo in Paradiso». A quelle consolanti parole l'infermo si sentì tutto cambiato e ripieno della più dolce confidenza. Poco tempo dopo tranquillamente spirò, colla serenità sulla fronte e coll'allegrezza nel cuore.

Per ben comprendere la riconoscenza delle anime, dovremmo avere una più chiara nozione del benefizio che ricevono dai loro liberatori: dovremmo sapere cosa è l'entrata nel Cielo. «Chi ci dirà, scrisse l'abate Louvet, le gioie di quell'ora benedetta? Rappresentatevi la felicità di un esiliato che finalmente rientra in patria. Durante i giorni del Terrore, un povero sacerdote della Vandea sfuggì per miracolo alla morte e dovette emigrare per salvarsi. Quando alla Chiesa ed alla Francia fu resa la pace, si affrettò a rientrare nella sua parrocchia.

«In quel giorno il villaggio s'era messo a festa. Tutti i parrocchiani erano venuti incontro al loro pastore e padre; suonavano festosamente i sacri bronzi e la chiesa era ornata come nelle grandi solennità. Il vecchio curato sorridendo s'avanzava in mezzo ai suoi figli: ma quando dinanzi a lui si aprirono le porte del luogo santo, quando vi vide quell'altare, che per sì lungo tempo aveva rallegrato i suoi giorni, il cuore gli si spezzò in petto, troppo debole per sostenere tanta gioia. Con voce tremante intonò il Te Deum, ma era il Nunc dimittis della sacerdotale sua vita: cadde morto ai piedi dello stesso altare. L'esiliato non aveva avuto la forza di sopportare i gaudi del ritorno.

Se tali sono le gioie del ritorno dall'esilio nella patria terrestre, chi ci dirà quelle dell'entrata nel Cielo, la vera patria delle nostre anime? E come meravigliarsi della riconoscenza dei beati che vi introducemmo?»

Il Padre Giacomo Monford, della Compagnia di Gesù, che per quarant'anni combatté per la causa della Chiesa, aveva sul Purgatorio composto un'opera notevole. Il libro ebbe molto spaccio, fece un gran bene alle anime, e l'editore Guglielmo Freyssen di Colonia fu uno di quelli che ne ricavò i più grandi vantaggi. Ecco quanto egli scrisse al Padre Monford nel 1649: Vi scrivo, Padre mio, per parteciparvi la doppia e miracolosa guarigione di mio figlio e di mia moglie. Nei giorni di festa in cui il mio negozio era chiuso, mi posi a leggere il libro di cui mi affidaste la stampa: Della misericordia da esercitare verso le anime del Purgatorio. Era ancora tutto penetrato da quella lettura, quando fui avvertito che mio figlio, di quattr'anni, aveva i primi sintomi d'una grave malattia. Subitamente aumentò il male, i medici disperavano, e già si pensava che dovesse morire. Allora mi venne il pensiero che forse potrei salvarlo facendo un voto in favore delle anime del Purgatorio.

«Mi recai quindi di buon mattino alla chiesa, e con fervore supplicai Dio aver pietà di me, impegnandomi con voto a distribuire gratuitamente cento copie del vostro libro ad ecclesiastici e religiosi per ricordare loro con quale zelo debbano interessarsi pei membri della Chiesa sofferente e quali siano le migliori pratiche per compiere questo dovere.

«Ero, lo confesso, pieno di speranza. Ritornato a casa, trovai il figlio migliorato. L'indomani, la sua guarigione era completa. Pieno di riconoscenza, nulla più ebbi a cuore quanto di compire la mia promessa.

«Tre settimane dopo, mi avvenne un altro accidente non meno grave. Mia moglie, rientrando in casa, fu improvvisamente presa da un tremito cosi violento in tutte le sue membra, da gettarla a terra e togliere ogni sentimento.

Inutilmente si impiegarono tutti i mezzi: il male non faceva che aggravarsi ed era perduta ogni speranza. Il suo confessore, vedendola in quello stato, mi rivolgeva parole consolanti, e già paternamente mi esortava a rassegnarmi alla volontà di Dio. Quanto a me, dopo l'esperienza fatta delle buone anime del Purgatorio, mi rifiutai di disperare. Ritornai quindi alla medesima chiesa; prostrato dinnanzi all'altare del SS. Sacramento, con tutto l'ardore di cui era capace rinnovai le mie suppliche: e feci voto di distribuire duecento copie del vostro libro, per procurare numerosi soccorsi alle anime sofferenti. Nel tempo stesso supplicai le anime che precedentemente erano state liberate d'unire le loro preghiere a quelle delle altre ancora ritenute nel Purgatorio.

«Dopo questa preghiera, tornavo a casa, quando vidi corrermi incontro i miei servi: venivano ad annunziarmi che la mia cara inferma era notevolmente sollevata. Pochissimo tempo dopo, si era pienamente ristabilita. - FREYSSEN».

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it