Venuti dall'aldilà: «È per causa tua...»
06/03/2017
2374
Venuti dall'Aldilà
«Nella casa provinciale dei Preti della Missione, in Napoli (via dei Vergini, 51), si conserva, visibile al pubblico, un quadro rappresentante Gesù crocifisso in carta incollata su tela, incorniciata da un piccolo telaio di legno. Lo straordinario sta nel fatto che porta nella parte inferiore le impronte di due mani incise a fuoco. Quale l'origine di quelle impronte?
In Firenze un giovane cavaliere aveva una relazione disonesta con una donna maritata a un gentiluomo. Il padre del giovane ne era dolente e più volte aveva rimproverato il figlio, anzi aveva pregato i Missionari (i Padri Lazzaristi) di Firenze di richiamarlo al dovere, ma inutilmente. Un'improvvisa malattia colpì la dama e in pochi giorni le aprì la tomba. Il giovane fu sul punto d'impazzire dal dolore, e il padre, approfittando di un corso di esercizi spirituali che si tenevano nella casa dei Missionari in San Jacopo sopr'Arno, invitò il figlio a parteciparvi. Costui vi andò e fu accolto con cordialità.
La sera del primo giorno, mentre gli altri esercitandi sono scesi al refettorio per la cena, il nostro giovane manca al suo posto. Avrà preso sonno? pensa il direttore, e va alla sua camera; bussa, senza ricevere risposta; bussa ancora: nulla. Apre e trova la camera piena di fumo che subito lo investe. Pensa a un incendio e subito chiede aiuto. Accorrono diversi confratelli e, attraverso il fumo in parte dileguato per la porta lasciata aperta, scorgono il giovane steso sul pavimento e senza segni di vita. Trasportatolo sul letto e apprestategli le cure necessarie, riescono a farlo rinvenire. Il direttore cerca per la camera la causa sul supposto incendio, e con grande meraviglia si imbatte sull'inginocchiatoio bruciato in quattro parti, cioè là dove si appoggiano le ginocchia e i gomiti, e vede nel quadro del crocifisso le impronte di mani infuocate come fossero state di ferro rovente. Non si rende conto dell'accaduto finché il giovane, rinvenuto, non gli ha spiegato come poco prima della cena, mentre stava ancora in camera, gli era apparsa l'amante tutta di fuoco. «È per causa tua - gli aveva gridato minacciosa - che io sono all'inferno! Sta' bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l'avviso; e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione, te ne lascio il segno!». Inginocchiatasi all'inginocchiatoio e toccato il quadro, vi lascia le impronte di fuoco che ora si vedono. Il giovane si converte. Essendo le due famiglie molto conosciute in Firenze, il superiore, per riguardo al loro onore, cerca di occultare il fatto. Il padre Scaramelli, superiore della casa, tenne presso di sé il quadro e l'inginocchiatoio, finché, chiamato dall'ubbidienza a Napoli portò con sé il quadro, lasciandolo alla Casa dei Vergini. Così è narrato nel Petit Pré spir. De la gr. De la Mission (Paris 1880). Una narrazione più breve si trova nella vita di sant'Alfonso de Liguori scritta dal Tannoia. Il quadro si conserva a Napoli; l'inginocchiatoio fu fatto scomparire. Sull'episodio il padre Mario Sorrentino condusse uno studio critico (Annali della Missione, 69 [1962], 1, pp. 52-59), arrivando a questa conclusione: «Pensiamo di poter affermare la verità del fatto come viene comunemente narrato, senza peraltro dare identico valore storico ai singoli particolari».
In Firenze un giovane cavaliere aveva una relazione disonesta con una donna maritata a un gentiluomo. Il padre del giovane ne era dolente e più volte aveva rimproverato il figlio, anzi aveva pregato i Missionari (i Padri Lazzaristi) di Firenze di richiamarlo al dovere, ma inutilmente. Un'improvvisa malattia colpì la dama e in pochi giorni le aprì la tomba. Il giovane fu sul punto d'impazzire dal dolore, e il padre, approfittando di un corso di esercizi spirituali che si tenevano nella casa dei Missionari in San Jacopo sopr'Arno, invitò il figlio a parteciparvi. Costui vi andò e fu accolto con cordialità.
La sera del primo giorno, mentre gli altri esercitandi sono scesi al refettorio per la cena, il nostro giovane manca al suo posto. Avrà preso sonno? pensa il direttore, e va alla sua camera; bussa, senza ricevere risposta; bussa ancora: nulla. Apre e trova la camera piena di fumo che subito lo investe. Pensa a un incendio e subito chiede aiuto. Accorrono diversi confratelli e, attraverso il fumo in parte dileguato per la porta lasciata aperta, scorgono il giovane steso sul pavimento e senza segni di vita. Trasportatolo sul letto e apprestategli le cure necessarie, riescono a farlo rinvenire. Il direttore cerca per la camera la causa sul supposto incendio, e con grande meraviglia si imbatte sull'inginocchiatoio bruciato in quattro parti, cioè là dove si appoggiano le ginocchia e i gomiti, e vede nel quadro del crocifisso le impronte di mani infuocate come fossero state di ferro rovente. Non si rende conto dell'accaduto finché il giovane, rinvenuto, non gli ha spiegato come poco prima della cena, mentre stava ancora in camera, gli era apparsa l'amante tutta di fuoco. «È per causa tua - gli aveva gridato minacciosa - che io sono all'inferno! Sta' bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l'avviso; e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione, te ne lascio il segno!». Inginocchiatasi all'inginocchiatoio e toccato il quadro, vi lascia le impronte di fuoco che ora si vedono. Il giovane si converte. Essendo le due famiglie molto conosciute in Firenze, il superiore, per riguardo al loro onore, cerca di occultare il fatto. Il padre Scaramelli, superiore della casa, tenne presso di sé il quadro e l'inginocchiatoio, finché, chiamato dall'ubbidienza a Napoli portò con sé il quadro, lasciandolo alla Casa dei Vergini. Così è narrato nel Petit Pré spir. De la gr. De la Mission (Paris 1880). Una narrazione più breve si trova nella vita di sant'Alfonso de Liguori scritta dal Tannoia. Il quadro si conserva a Napoli; l'inginocchiatoio fu fatto scomparire. Sull'episodio il padre Mario Sorrentino condusse uno studio critico (Annali della Missione, 69 [1962], 1, pp. 52-59), arrivando a questa conclusione: «Pensiamo di poter affermare la verità del fatto come viene comunemente narrato, senza peraltro dare identico valore storico ai singoli particolari».