Dai Quaderni di Maria Valtorta: 21 ottobre 1943.
Dice Gesù:
«Riprendo l’argomento[466] delle anime accolte nel Purgatorio.
Se tu hai afferrato il senso completo delle mie parole, non importa.
Queste sono pagine per tutti, perché tutti hanno nel Purgatorio degli
esseri cari e quasi tutti, con la vita che conducono, sono destinati a
sostare in quella dimora. Per gli uni e per gli altri continuo, dunque.
Ho detto che le anime purganti non soffrono che per l’amore ed espiano
con l’amore. Ecco le ragioni di questo sistema di espiazione.
Se voi, uomini irriflessivi, considerate attentamente la mia Legge nei
suoi consigli e nei suoi comandi,[467] vedete che essa è tutta
imperniata sull’amore. Amore verso Dio, amore verso il prossimo.
Nel primo comandamento Io, Dio, mi impongo al vostro amore riverenziale
con tutta la solennità che è degna della mia Natura rispetto alla
vostra nullità: “Io sono il Signore Iddio tuo”.
Troppe volte
ve ne dimenticate, o uomini che vi credete dèi e, se non avete in voi
uno spirito vivificato dalla grazia, altro non siete che polvere e
putredine, animali che all’animalità unite l’astuzia dell’intelligenza
posseduta dalla Bestia, che vi fa commettere opere da bestie, peggio che
da bestie: da demoni.
Ditevelo mattina e sera, ditevelo a
mezzogiorno e a mezzanotte, ditevelo quando mangiate, quando bevete,
quando andate a dormire, quando vi svegliate, quando lavorate, quando
riposate, ditevelo quando amate, ditevelo quando contraete amicizie,
ditevelo quando comandate e quando ubbidite, ditevelo sempre: “Io non
sono Dio. Il cibo, la bevanda, il sonno non sono Dio. Il lavoro, il
riposo, le occupazioni, le opere del genio non sono Dio. La donna, o
peggio: le donne, non sono Dio. Le amicizie non sono Dio. I superiori
non sono Dio. Uno solo è Dio: è il Signore mio che mi ha dato questa
vita perché con essa mi meriti la Vita che non muore, che mi ha dato
vesti, cibi, dimore, che mi ha dato il lavoro perché mi guadagni la
vita, la genialità perché testimoni d’essere il re della Terra, che mi
ha dato capacità d’amare e creature da amare ‘con santità’ e non con
libidine, che mi ha dato il potere, l’autorità perché ne faccia mezzo di
santità e non di dannazione. Io posso divenire simile a Lui poiché Egli
l’ha detto:[468] ‘Voi siete dèi’, ma solo se vivo la sua Vita, ossia la
sua Legge, ma solo se vivo la sua Vita, ossia il suo Amore. Uno solo è
Dio: Lui. Io sono il suo figlio e suddito, l’erede del suo regno. Ma se
diserto e tradisco, se mi creo un regno mio in cui voglio umanamente
essere re e dio, allora perdo il Regno vero e la mia sorte di figlio di
Dio decade e si degrada a quella di figlio di Satana, poiché non si può
contemporaneamente servire l’egoismo e l’amore, e chi serve il primo
serve il Nemico di Dio e perde l’Amore, ossia perde Dio”.
Levate dalla vostra mente e dal vostro cuore tutti i bugiardi dèi che vi
avete messi, cominciando dal dio di fango che siete voi quando non
vivete in Me. Ricordatevi cosa mi dovete per tutto quanto vi ho dato - e
più vi avrei dato se voi non aveste legato le mani al vostro Dio col
vostro metodo di vita - cosa vi ho dato per la vita di ogni giorno e per
la vita eterna. Per questa, Dio vi ha dato suo Figlio, acciò fosse
immolato come agnello senza macchia e lavasse col suo Sangue i vostri
debiti e non facesse così ricadere, come nei tempi mosaici, le iniquità
dei padri sui figli sino alla quarta generazione dei peccatori, che sono
“coloro che mi odiano”[469], poiché il peccato è offesa a Dio e chi
offende odia.
Non alzate altri altari a dèi non veri. Abbiate,
e non tanto sugli altari di pietra, ma sull’altare vivo del vostro
cuore, solo ed unico il Signore Iddio vostro. A Lui servite e porgete
culto vero di amore, di amore, di amore, o figli che non sapete amare,
che dite, dite, dite parole di preghiera, parole soltanto, ma non fate
dell’amore la vostra preghiera, l’unica che Dio gradisca.
Ricordate che un vero palpito d’amore, che salga come nube di incenso
dalle fiamme del vostro cuore innamorato di Me, ha per Me un valore
infinite volte più grande di mille e mille preghiere e cerimonie fatte
col cuore tiepido o freddo. Attirate la mia Misericordia col vostro
amore. Se sapeste come è attiva e grande la mia Misericordia con chi mi
ama! È un’onda che passa e lava quanto in voi costituisce macchia. Vi dà
candida stola per entrare nella Città santa del Cielo, nella quale
splende come sole la Carità dell’Agnello che si è fatto immolare per
voi.
Non usate il Nome santo per abitudine o per dare forza alla
vostra ira, per sfogare la vostra impazienza, per corroborare le vostre
maledizioni. E soprattutto non applicate il termine “dio” a creatura
umana che amate per fame di sensi o per culto di mente. A Uno solo va
detto quel Nome. A Me. E a Me deve essere detto con amore, con fede, con
speranza. Allora quel Nome sarà la vostra forza e la vostra difesa. Il
culto di questo Nome vi giustificherà, perché chi opera mettendo a
sigillo delle sue azioni il Nome mio non può commettere azioni malvagie.
Parlo di chi agisce con verità, non dei mentitori che cercano coprire
se stessi e le loro opere col fulgore del mio Nome tre volte santo. E
chi cercano di ingannare? Io non sono soggetto ad inganno, e gli uomini
stessi, a meno che non siano dei malati di mente, dal confronto delle
opere dei mentitori col loro dire comprendono che sono dei falsi e ne
provano sdegno e schifo.
Voi che non sapete amare altro che
voi stessi e il vostro denaro, e vi pare perduta ogni ora che non sia
dedicata ad accontentare la carne o ad impinguare la borsa, sappiate,
nel vostro godere o lavorare da ingordi e da bruti, mettere una sosta
che vi dia modo di pensare a Dio, alle sue bontà, alla sua pazienza, al
suo amore. Dovreste, lo ripeto, avermi sempre presente qualunque cosa
facciate; ma poiché non sapete operare conservando lo spirito fisso in
Dio, cessate, una volta alla settimana, di operare per pensare
unicamente a Dio.
Questa, che vi può parere legge servile, è
invece prova di come Dio vi ama. Lo sa il vostro buon Padre che siete
macchine fragili che si usurano nell’uso continuo, e ha provveduto alla
vostra carne, anche a quella, poiché è essa pure opera sua, dandovi
comando di farla riposare un giorno su sette per dare ad essa giusto
ristoro. Dio non vuole le vostre malattie. Foste rimasti suoi figli,
proprio suoi, da Adamo in poi, non avreste conosciuto le malattie. Sono,
queste, frutto delle vostre disubbidienze a Dio, insieme al dolore e
alla morte; e come fungaia sono nate e nascono sulle radici della prima
disubbidienza:[470] quella d’Adamo, e rampollano le une dalle altre,
tragica catena, dal germe che vi è rimasto in cuore, dal veleno del
Serpente maledetto che vi dà febbri di lussuria, di avarizia, di gola,
di accidia, di imprudenze colpevoli.
Ed è imprudenza colpevole
il voler forzare il vostro essere a continuo lavoro per il guadagno,
come lo è il volere supergodere della gola o del senso col non
contentarvi del cibo necessario alla vita e della compagna necessaria
alla continuazione della specie, ma saziandovi oltre misura come animali
da pantano e spossandovi e avvilendovi come, anzi, non come bruti - i
quali non sono simili ma superiori a voi nel connubio, al quale vanno
ubbidendo a leggi di ordine - ma avvilendovi peggio dei bruti: come dei
demoni che disubbidiscono alle leggi sante dell’istinto retto, della
ragione e di Dio.
Il vostro istinto voi lo avete corrotto ed
esso ormai vi conduce a preferire pasti corrotti, formati da lussurie
nelle quali profanate il corpo vostro: opera mia; l’anima vostra:
capolavoro mio; e uccidete embrioni di vite negandole alla vita, perché
le sopprimete anzi tempo volontariamente o attraverso le vostre lebbre
che sono veleno mortale alle vite sorgenti.
Quante sono le
anime che un vostro appetito sensuale chiama dal Cielo e alle quali voi
chiudete poi le porte della vita? Quante quelle che appena giungono al
termine, e vengono alla luce morenti o già morte, alle quali precludete
il Cielo? Quante quelle alle quali voi imponete un peso di dolore, che
non sempre possono portare, con una esistenza malata, marcata da morbi
dolorosi e vergognosi? Quante quelle che non possono resistere a questa
sorte di martirio non voluto, ma apposto da voi come un marchio a fuoco
sulla carne, che avete generato senza riflettere che, quando si è
corrotti come sepolcri[471] pieni di putredine, non è più lecito
generare dei figli per condannarli al dolore e al ribrezzo della
società? Quante quelle che, non potendo resistere a questa sorte, si
suicidano?
Ma che credete voi? Che Io le dannerò per questo
loro delitto contro Dio e se stesse? No. Prima di loro, che peccano
contro due, vi siete voi che peccate contro tre: contro Dio, contro voi
stessi e contro gli innocenti che generate per portarli alla
disperazione. Pensatelo. Pensatelo bene. Dio è giusto, e se pesa la
colpa pesa anche le cause della colpa. E in questo caso il peso della
colpa alleggerisce la condanna del suicida, ma carica la condanna di
voi, veri omicidi delle vostre creature disperate.
In quel
giorno di riposo che Dio ha messo nella settimana, e vi ha dato
l’esempio suo di riposo[472] - pensate, Lui: l’Agente infinito, il
Generante che da Se stesso si genera continuamente, Lui vi ha mostrato
il bisogno di riposo, per voi lo ha fatto, per esservi Maestro nella
vita. E voi, trascurabili potenze, volete non tenerne conto quasi foste
più potenti di Dio! -. In quel giorno di riposo per la vostra carne che
si spezza sotto fatica eccessiva, sappiate occuparvi dei diritti e dei
doveri dell’anima. Diritti: alla Vita vera. L’anima muore se è tenuta
separata da Dio. La domenica datela all’anima vostra - poiché non sapete
farlo tutti i giorni e tutte le ore - perché in essa domenica essa si
nutra della Parola di Dio, si saturi di Dio, per avere vitalità durante
gli altri giorni di lavoro.
Così dolce il riposo nella casa del
padre ad un figlio che il lavoro ha tenuto lontano per tutta la
settimana! E perché voi questa dolcezza non la date all’anima vostra?
Perché insozzate questo giorno con crapule e libidini, invece di farne
una tersa luce per beatitudine vostra di ora e di poi?
E, dopo
l’amore per chi vi ha creato, l’amore a chi vi ha generato e a chi vi è
fratello. Se Dio è Carità, come potete dire di essere in Dio se non
cercate di somigliarlo nella carità? E potete dire di somigliarlo se
amate Lui solo e non gli altri creati da Lui? Sì, che Dio va amato più
di tutti, ma non può dire di amare Dio chi spregia di amare coloro che
Dio ama.
Amate dunque per primi quelli che per avervi generato
sono i creatori secondi del vostro essere sulla Terra. Il Creatore
supremo è il Signore Iddio, che forma le vostre anime e, padrone come è
della Vita e della Morte, permette il vostro venire alla vita. Ma
creatori secondi sono coloro che di due carni e di due sangui fanno una
nuova carne, un nuovo figlio di Dio, un nuovo futuro abitante dei Cieli.
Perché è per i Cieli che siete creati, perché è per i Cieli che dovete
vivere sulla Terra.
Oh! sublime dignità del padre e della
madre! Episcopato santo, dico con parola ardita ma vera, che consacra un
nuovo servo a Dio col crisma di un amore coniugale, lo lava col pianto
della genitrice, lo veste col lavoro del padre, lo rende portatore della
Luce infondendo la conoscenza di Dio nelle menti pargole e l’amore di
Dio nei cuori innocenti. In verità vi dico che di poco inferiori a Dio
sono i genitori solo per il fatto di creare un nuovo Adamo. Ma che poi,
quando i genitori sanno fare del nuovo Adamo un nuovo piccolo Cristo,
allora la loro dignità è appena di un grado inferiore a quella
dell’Eterno.
Amate dunque di amore unicamente inferiore a
quello che dovete avere per il Signore Iddio vostro, il padre e la madre
vostra, questa duplice manifestazione di Dio che l’amore coniugale fa
divenire una “unità”. Amatela perché la sua dignità e le sue opere sono
le più simili a quelle di Dio per voi: sono essi genitori i vostri
terreni creatori, e tutto in voi li deve venerare per tali.
E
amate la vostra prole, o genitori. Ricordate che ad ogni dovere
corrisponde un diritto e che, se i figli hanno il dovere di vedere in
voi la dignità più grande dopo Dio e di darvi l’amore più grande dopo
quello totale che va dato a Dio, voi avete il dovere di essere perfetti
per non sminuire il concetto e l’amore dei figli verso di voi.
Ricordatevi che generare una carne è molto, ma è niente nello stesso
tempo. Anche gli animali generano una carne e molte volte la curano
meglio di voi. Ma voi generate un cittadino dei Cieli. Di questo vi
dovete preoccupare. Non spegnete la luce nelle anime dei figli, non
permettete che la perla dell’anima dei figli vostri prenda abitudine al
fango, perché essa abitudine non la spinga a sommergersi nel fango. Date
amore, amore santo ai figli vostri, e non stolte cure alla bellezza
fisica, alla cultura umana. No. È la bellezza della loro anima,
l’educazione del loro spirito quella che dovete curare.
La
vita dei genitori è sacrificio come è quella dei sacerdoti e dei maestri
convinti della loro missione. Tutte e tre le categorie sono di
“formatori” di ciò che non muore: lo spirito, o la psiche, se più vi
piace. E dato che lo spirito sta alla carne nella proporzione di mille a
uno, considerate a quale perfezione dovrebbero attingere genitori,
maestri e sacerdoti per essere veramente quali dovrebbero. Dico
“perfezione”. Non basta “formazione”. Devono formare gli altri, ma per
formarli non deformi devono modellarli su un perfetto modello. E come
possono pretenderlo se sono imperfetti essi stessi? E come possono
divenire perfetti essi stessi se non si modellano sul Perfetto che è
Dio? E cosa può rendere capace l’uomo di modellarsi su Dio? L’amore.
Sempre l’amore. Siete ferro grezzo e informe. L’amore è la fornace che
vi purifica e scioglie e vi fa fluidi per colare attraverso le vene
soprannaturali nella forma di Dio. Allora sarete i “formatori” altrui:
quando vi sarete formati sulla perfezione di Dio.
Molte volte i
figli rappresentano il fallimento spirituale dei genitori. Si vede
attraverso ai figli ciò che valevano i genitori. Ché, se è vero che
talora da genitori santi nascono figli depravati, questa è l’eccezione.
Generalmente uno dei genitori almeno non è santo e, dato che vi è più
facile copiare il male che il bene, il figlio copia il men buono. È
anche vero che talora da genitori depravati nasce un figlio santo. Ma
anche qui è difficile che ambedue i genitori siano depravati. Per legge
di compenso il più buono dei due è buono per due, e con preghiere,
lacrime e parole compie l’opera di tutti e due formando il figlio al
Cielo.
Ad ogni modo, o figli, quali che siano i vostri
genitori, Io vi dico: “Non giudicate, amate soltanto, perdonate
soltanto, ubbidite soltanto, fuorché in quelle cose che sono contrarie
alla mia Legge. A voi il merito dell’ubbidienza, dell’amore e del
perdono, del perdono di voi figli, Maria, che accelera il perdono di Dio
ai genitori e tanto più l’accelera quanto più è perdono completo; ai
genitori la responsabilità e il giusto giudizio, sia riguardo a voi, sia
per quanto spetta a Dio, di Dio, unico Giudice”.
Superfluo è
spiegare che uccidere è mancare all’amore. Amore verso Dio, al quale
levate il diritto di vita e di morte verso una sua creatura e il diritto
di Giudice. Solo Dio è Giudice e Giudice santo e, se Egli ha concesso
all’uomo di crearsi dei consessi di giustizia per mettervi un freno sia
nel delitto sia nella punizione, guai a voi se, come mancate alla
Giustizia di Dio, mancate alla giustizia dell’uomo erigendovi a giudici
di un vostro simile che ha mancato o credete che vi abbia mancato.
Pensate, o poveri figli, che l’offesa, il dolore sconvolgono mente e
cuore, e che l’ira e lo stesso dolore mettono un velo alla vostra vista
intellettuale, velo che vi preclude la visione della verità vera e della
carità quale Dio ve la presenta perché su di essa sappiate regolare il
vostro anche giusto sdegno e non farne, con troppa spietata condanna,
una ingiustizia. Siate santi anche mentre l’offesa vi brucia.
Ricordatevi di Dio soprattutto allora.
E voi pure, giudici
della Terra, siate santi. Avete per le mani gli orrori più vivi
dell’umanità. Scrutateli con occhio e mente intrisi di Dio. Vedete il
“perché” vero di certe “miserie”. Pensate che, se anche sono vere
“miserie” della umanità che si degrada, molte sono le cause che le
producono. Nella mano che uccise cercate la forza che la mosse ad
uccidere e ricordatevi che voi pure siete uomini. Interrogatevi se voi:
traditi, abbandonati, stuzzicati, sareste stati migliori di colui o di
colei che vi è davanti in attesa di sentenza. Facendo il severo esame di
voi, pensate se nessuna donna può accusarvi di essere i veri uccisori
del figlio che ella soppresse, perché dopo l’ora gioconda voi vi siete
sottratti al vostro impegno d’onore. E, se lo potete fare, siate pure
severi.
Ma se, dopo aver peccato contro la creatura nata da
una vostra insidia e da una vostra lussuria, volete ancora ottenere un
perdono da Colui che non si inganna e non si smemora con anni e anni di
vita corretta, dopo quella scorrettezza che non avete voluto riparare, o
dopo quel delitto che avete provocato, siate almeno operosi nel
prevenire il male, e specie là dove leggerezza femminile e miseria
d’ambiente predispongono alle cadute nel vizio e nell’infanticidio.
Così si fa, uomini, per trarre dal fango chi nel fango sprofonda, e non ci si avvinghia al collo per perire in due, o non si gettano pietre per sprofondarvele di più. È l’amore, è sempre l’amore che salva.
Quale peccato contro l’amore sia l’adulterio, ne ho già parlato[474] e non ripeto, per ora almeno. Vi è su questo rigurgito di animalità tanto da dire - e tanto che non capireste neppure, perché d’essere traditori del focolare ve ne vantate - che per pietà della mia piccola discepola mi taccio. Non voglio esaurire le forze della creatura sfinita e turbare il suo animo con crudezze umane poiché, prossimo alla mèta, pensa solo al Cielo.
Colui che ruba, è ovvio che manchi all’amore. Se si ricordasse di non fare agli altri ciò che non vorrebbe fatto a se stesso, e amasse gli altri quanto se stesso, non leverebbe con violenza e frode ciò che è del prossimo suo. Non mancherebbe perciò all’amore, come invece vi manca commettendo ladroneccio che può essere di merce, di denaro, come di occupazione. Quanti furti commettete derubando un posto all’amico, un’invenzione al compagno! Siete ladri, tre volte ladri, facendo ciò. Lo siete più che se rubaste un portafoglio o una gemma, perché senza questi si può ancora vivere, ma senza un posto di guadagno si muore, e con il derubato del posto muore la sua famiglia di fame.
Vi ho dato la parola come segno di elevazione su tutti gli altri animali della Terra. Dovreste dunque amarmi per la parola, dono mio. Ma posso dire che mi amate per la parola, quando di questo dono di Cielo vi fate arma per rovinare il prossimo col giuramento falso? No, non amate né Me né il prossimo quando asserite il falso, ma sibbene ci odiate. Non riflettete che la parola uccide non solo la carne, ma la riputazione di un uomo? Chi uccide odia, chi odia non ama.
L’invidia non è carità: è anticarità. Chi desidera smodatamente la roba altrui è invido e non ama. Siate contenti di ciò che avete. Pensate che sotto l’apparenza di gioia vi sono sovente dolori che Dio vede e che sono risparmiati a voi, apparentemente meno felici di coloro che invidiate. Ché, se poi l’oggetto desiderato è la altrui moglie o l’altrui marito, allora sappiate che al peccato d’invidia unite quello di lussuria e di adulterio. Compiete perciò una triplice offesa alla carità di Dio e di prossimo.
Come vedete, se voi contravvenite al decalogo contravvenite all’amore. E così è per i consigli che vi ho dato, che sono il fiore della pianta della Carità. Ora, se contravvenendo alla Legge contravvenite all’amore, è ovvio che il peccato è mancanza all’amore. E perciò deve espiarsi con l’amore. L’amore che non avete saputo darmi in Terra, me lo dovete dare nel Purgatorio. Ecco perché dico[475] che il Purgatorio altro non è che sofferenza d’amore.
Avete per tutta la vita poco amato Dio nella sua Legge. Vi siete buttati dietro le spalle il pensiero di Lui, avete vissuto amando tutti e poco amando Lui. È giusto che, non avendo meritato l’Inferno e non avendo meritato il Paradiso, ve lo meritiate ora accendendovi di carità, ardendo per quanto siete stati tiepidi sulla Terra. È giusto che sospiriate per mille e mille ore di espiazione d’amore ciò che avete mille e mille volte mancato di sospirare sulla Terra: Dio, scopo supremo delle intelligenze create. Ad ogni volta che avete voltato le spalle all’amore corrispondono anni e secoli di nostalgia amorosa. Anni o secoli a seconda della vostra gravità di colpa.
Fatti ormai sicuri di Dio, cogniti della superna bellezza di Dio per quel fugace incontro del primo giudizio, il cui ricordo viene seco voi per rendervi più viva l’ansia d’amore, voi sospirate a Lui, la lontananza di Lui piangete, d’esser stati voi la causa di tale lontananza vi rammaricate e pentite, e sempre più vi rendete penetrabili a quel fuoco acceso dalla Carità per vostro supremo bene.
Quando i meriti del Cristo vengono, dalle preghiere dei viventi che vi amano, gettati come essenze d’ardore nel fuoco santo del Purgatorio, l’incandescenza d’amore vi penetra più forte e più addentro e, fra il rutilare delle vampe, sempre più si fa lucido in voi il ricordo di Dio visto in quell’attimo.
Come nella vita della Terra più cresce l’amore e più sottile si fa il velo che cela al vivente la Divinità, altrettanto nel secondo regno più cresce la purificazione, e perciò l’amore, e più prossimo e visibile si fa il volto di Dio. Già traluce e sorride fra il balenare del santo fuoco. È come un Sole che sempre più si fa presso, e la sua luce e il suo calore annullano sempre più la luce e il calore del fuoco purgativo, finché, passando dal meritato e benedetto tormento del fuoco al conquistato e beato refrigerio del possesso, passate da vampa a Vampa, da luce a Luce, salite ad esser luce e vampa in Esso, Sole eterno, come scintilla assorbita da un rogo e come lampada gettata in un incendio.
Oh! gaudio dei gaudi, quando vi troverete assurti alla mia Gloria, passati da quel regno di attesa al Regno di trionfo. Oh! conoscenza perfetta del Perfetto Amore!
Questa conoscenza, o Maria, è mistero che la mente può conoscere per volere di Dio, ma non può descrivere con parola umana. Credi che merita soffrire tutta una vita per possederla dall’ora della morte. Credi che non v’è più grande carità di procurarla con le preghiere a chi amaste sulla Terra e che ora iniziano la purgazione nell’amore, al quale chiusero in vita le porte del cuore tante e tante volte.
Animo, benedetta alla quale sono svelate le verità nascoste. Procedi, opera e sali. Per te stessa e per chi ami nell’al di là.
Lascia consumare dall’Amore lo stame di tua vita. Riversa il tuo amore sul Purgatorio per aprire le porte del Cielo a chi ami. Te beata se saprai amare sino all’incenerimento di ciò che è debole e che peccò. Allo spirito purificato dall’immolazione d’amore vengono incontro i Serafini e gli insegnano il Sanctus eterno da cantare[476] ai piedi del mio trono.»
[466] l’argomento trattato il 17 ottobre.
[467] comandi, che sono sintetizzati nei precetti di Deuteronomio 6, 5 (amore verso Dio) e di Levitico 19, 18 (amore verso il prossimo), già richiamati il 7 luglio e il 17 ottobre. Da essi dipendono i dieci comandamenti, che vengono qui commentati e che sono tramandati in Esodo 20, 1-17; Deuteronomio 5, 1-22.
[468] l’ha detto in Salmo 82, 6.
[469] coloro che mi odiano, come è detto in Esodo 20, 5.
[470] prima disubbidienza, nel contesto del peccato originale, già richiamato il 26 e 29 settembre e il 12 ottobre.
[471] come sepolcri…, secondo l’immagine di Matteo 23, 27.
[472] l’esempio suo di riposo, come si legge in Genesi 2, 2-3.
[473] non ho ricusato di redimere le donne senza onore, come Maria di Magdala (ravvisata, nel “dettato” del 13 ottobre, nella peccatrice innominata dell’episodio di Luca 7, 36-50), la samaritana (in Giovanni 4, 5-26) e l’adultera (in Giovanni 8, 3-11).
[474] ne ho già parlato il 25 settembre.
[475] dico, come già detto il 17 ottobre.
[476] da cantare, come in Isaia 6, 1-3.
Fonte: Scritti di Maria Valtorta. Centro Editoriale Valtortiano.