Il Purgatorio

Capitolo 2-39: Mezzi per schivare il Purgatorio: santa accettazione della morte.

05/03/2017    1887     Il dogma del Purgatorio    Ven. suor Francesca di Pamplona 
Il sesto mezzo per schivare il Purgatorio è il ricevere con umiltà e sommissione la morte, come espiazione dei propri peccati: è l'atto generoso con cui si fa a Dio il sacrificio della propria vita, in unione al sacrificio di Gesù Cristo sulla croce.

Vuolsi un esempio di questo santo abbandono della vita nelle mani del Creatore? Il 2 dicembre del 1638 morì a Brisach, sulla riva destra del Reno, il Padre Giorgio Aquitanus, della compagnia di Gesù. Due volte si consacrò al servizio degli appestati. Avvenne che in due diverse epoche la peste con tanto furore fece le sue stragi, da non potersi avvicinare gli infermi senza essere colpito dal contagio. Fuggivano tutti ed abbandonavano i morenti all'infelice loro sorte: ma il Padre Aquitanus, nelle mani di Dio mettendo la sua vita, si fece il servo e l'apostolo degli infermi: tutto s'adoperò a sollevarli ed amministrare loro i sacramenti.

Dio lo conservò nel primo periodo; ma quando rincrudì la peste e che una seconda volta l'uomo di Dio corse in mezzo agli appestati, il Signore accettò il suo sacrifizio.

Allorquando, vittima della sua carità, era steso sul letto di morte, gli fu chiesto se volentieri faceva a Nostro Signore il sacrificio della sua vita. «Oh! rispose pieno di gioia, se ne avessi miglioni da offrirgli, egli ben sa con qual cuore io gliele offrirei».

Un tal atto, ben si capisce, è agli occhi di Dio molto meritorio. Non rassomiglia forse all'atto di suprema carità, compito dai martiri che muoiono per Gesù Cristo, e che, come il battesimo, cancella tutti i peccati e tutte le pene dovute al peccato? Niuno, dice il Salvatore, può testificare un più grande amore, che dando la vita pei suoi amici (Giov., XV, 13).

Perché, in caso di malattia, si faccia questo atto prezioso, è utile, per non dir necessario che l'infermo conosca il suo stato e sappia che s'avvicina la sua fine. È dunque un portargli gran danno, quando per una falsa delicatezza vien tenuto nell'illusione. «Bisogna, dice sant'Alfonso nella sua Pratica del Confessore, fare con prudenza in modo che l'infermo conosca il pericolo del suo stato».

Se lo stesso infermo si pasce d'illusioni, se invece di rimettersi nelle mani di Dio, non pensa che a guarire, quand'anche ricevesse tutti i sacramenti, fa a se stesso un torto deplorevole.

Si legge nella Vita della Venerabile Madre Francesca del Santo Sacramento, religiosa di Pamplona, che un'anima fu condannata ad un lungo Purgatorio per non aver avuto al letto di morte una vera sommissione alla divina volontà. Era una giovane, per altra parte. piena di pietà: ma quando la fredda mano della morte volle, troncarle nel suo fiore la giovinezza, nella sua natura provò la più viva resistenza, e non ebbe il coraggio di rimettersi tra le mani, sempre buone, del celeste suo Padre; non voleva ancora morire! Tuttavia morì; e la venerabile Maria Francesca, tanto frequentemente, visitata dalle anime dei defunti, conobbe che questa doveva con lunghi patimenti espiare la sua mancanza di sommissione ai decreti del suo Creatore.

La Vita del Padre Caraffa ci offre un più consolante esempio. Il P. Vincenzo Caraffa, generale della Compagnia di Gesù, fu chiamato a preparare alla morte un giovane signore condannato all'ultimo supplizio, e che si credeva ingiustamente sacrificato alla morte. Morire nel fiore dell'età, quando si è ricchi, felici, e che ci sorride l'avvenire, è duro, bisogna pur confessarlo: tuttavia un reo, in preda ai rimorsi della sua coscienza, potrebbe rassegnarvisi ed accettare il castigo per espiare i suoi misfatti; ma un innocente!

Il compito del Padre era ben difficile. Tuttavia, aiutato dalla grazia, con tanta unzione gli parlò dei falli della passata sua vita e della necessità di soddisfare alla divina giustizia, tanto bene gli fece comprendere come Dio permetteva pel suo meglio questo temporale castigo, che domò la inasprita sua natura e completamente cambiò i sentimenti del suo cuore. Il giovane, riguardando il suo supplizio come un'espiazione che gli otterrebbe il perdono di Dio, non solo con rassegnazione, ma con gioia al tutto cristiana, salì il patibolo. Fino all'ultimo momento, fin sotto la mannaia del carnefice benediceva Iddio, implorando la sua misericordia, con grande edificazione del popolo che assisteva al suo supplizio.

Ora, nel momento in cui cadeva la sua testa, il P. Caraffa ne vide l'anima salir trionfante al Cielo. Tosto andò a trovare la madre del condannato, e, per consolarla, le narrò ciò che aveva veduto. Era tanto fuori di sé per la gioia che ritornando alla sua cella, non cessava d'esclamare: Oh! il beato! oh! il beato!

La famiglia voleva far celebrare un gran numero di messe per la sua anima: «È inutile, rispose il Padre: bisogna piuttosto ringraziare Dio e rallegrarci: giacché vi dichiaro che quell'anima non è neppure passata pel Purgatorio».

Suor Maria di S. Giuseppe, una delle quattro prime Carmelitane che abbracciarono la riforma di S. Teresa, s'avvicinava alla fine della sua esistenza, e volendo Nostro Signore che la santa sua sposa fosse ricevuta in trionfo nel Cielo appena dato l'ultimo suo respiro, terminò di purificarne e di abbellirne l'anima coi patimenti.

Negli ultimi quattro giorni che passò quaggiù perdette la parola e l'uso dei sensi: era in preda ad una dolorosa agonia: le religiose erano tutte accorate al vederla in tale stato. La Madre Isabella di S. Domenico, priora del convento avvicinandosi all'inferma, le suggerì di far molti atti di rassegnazione e di abbandono nelle mani di Dio. Suor Maria di S. Giuseppe udì e interiormente fece quegli atti, ma senza poterne dare alcun segno esteriore.

In queste sante disposizioni morì e, il giorno stesso della sua morte, mentre la Madre Isabella sentiva la Messa, pregando pel riposo della sua anima, Nostro Signore le mostrò la fedele sua sposa coronata di gloria, dicendole: «È di quelli che seguono l'Agnello», Maria di S. Giuseppe da parte sua ringraziò la Madre Isabella di tutto il bene che aveva fatto nell'ora della morte. Aggiunse che gli atti di rassegnazione che le aveva suggerito, le avevano meritato una grande gloria in Paradiso, liberandola dalle pene del Purgatorio.

Quale felicità di lasciar questa vita miserabile per entrare nella vera e beata vita! Questa felicità tutti noi possiamo averla, impiegando i mezzi datici da Gesù Cristo nella sua misericordia per soddisfare in questo mondo e per preparare perfettamente le nostre anime a comparire dinanzi a Lui. L'anima in tal modo preparata, nell'ultima sua ora è riempita della più dolce confidenza: ha come una pregustazione del Cielo; prova ciò che S. Giovanni della Croce scrisse della morte d'un santo nella Viva fiamma dell'amore: «Il perfetto amor di Dio, dice, rende gioconda la morte, e vi fa trovare le più grandi dolcezze. L'anima che ama è inondata da un torrente di delizie, quando vede avvicinarsi il momento in cui va a godere del possesso pieno del suo Diletto. Vicina ad essere liberata dalla prigione del corpo che si spezza, a lei già sembra di contemplare la gloria celeste, e tutto quanto in lei trovasi si trasforma in amore...

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it