Il Purgatorio

Capitolo 2-24: Motivi di aiutare le anime: obbligo di giustizia.

S. Bernardino da Siena riferisce che due sposi, che non avevano figli, fecero un patto pel tempo in cui uno di esso sarebbe morto: il superstite doveva distribuire il bene posseduto dal defunto in limosine, a suffragio della sua anima. Pel primo morì il marito; e la vedova trascurò di compiere la sua promessa. Viveva ancora la madre di questa vedova: le apparve il defunto, pregandola d'andar a trovare la sua figlia per eccitarla a nome di Dio a soddisfare al suo impegno. «Se differisce, aggiunse, di distribuire in limosine la somma che destinai pei poveri, ditele da parte di Dio che fra trenta giorni, sarà colpita da morte repentina». Quando quella donna udì il grave avvertimento, osò chiamarlo un sogno, e persistette nella sacrilega sua infedeltà. Scorsero i trenta giorni, e l'infelice, salita ad un'alta stanza, cadde da una finestra e sul colpo morì.

Le ingiustizie verso i defunti, di cui parliamo ed i fraudolenti artifizi, coi quali molti cercano sottrarsi all'esecuzione dei pii legati, sono peccati gravi, delitti che meritano l'inferno. Solo col farne una sincera confessione e nel tempo stesso la debita devoluzione si sfugge alle pene eterne.

Ohimè! sì è sopratutto nell'altra vita che la divina giustizia punirà come si meritano le colpevoli detenzioni del bene dei morti. Un giudizio senza misericordia, dice lo Spirito Santo, avrà chi fu senza misericordia (Giacobbe, II, 13). Qual rigoroso giudizio non deve aspettarsi quegli, la cui abominevole avarizia per mesi, per anni, forse per secoli, lasciò l'anima d'un parente, d'un benefattore, fra gli spaventosi supplizi del Purgatorio?

Come più sopra dicemmo, questo delitto è altrettanto più grave, inquantocchè in molti casi i suffragi chiesti dal defunto per l'anima sua, non sono, in ultimo, che velate restituzioni. É ciò che troppo spesso ignorano le famiglie. Si trova assai comodo parlare di artifizi e di avidità per parte del clero; si fa annullare un testamento con questi bei pretesti, e bene spesso, forse il più delle volte, si trattava d'una necessaria restituzione. Il prete non era che l'intermediario di quell'azione indispensabile, obbligato al più assoluto segreto, in forza del sacramentale suo ministero.

Spieghiamoci più chiaramente. Un moribondo in vita sua commise ingiustizie, il che avviene più frequentemente che non si pensi anche fra persone onestissime secondo il mondo. Al punto di comparire dinnanzi a Dio, quel peccatore si confessa; vuole, com'è suo dovere, riparare tutti i danni da lui recati al prossimo; ma gli manca il tempo per farlo in persona e non vuole ai suoi figli rivelare quel triste segreto. Che fa? Sotto il velo d'un pio legato copre la sua restituzione.

Ora, se questo legato non è soddisfatto, e per conseguenza non è riparata l'ingiustizia, che sarà dell'anima del defunto? Sarà ritenuta indefinitamente in Purgatorio? Noi non conosciamo tutte le leggi della divina giustizia, ma numerose apparizioni confermano questo sentimento: tutte dichiararono che non possono essere ammesse al soggiorno della beatitudine, finché la giustizia rimane lesa. D'altra parte, non sono forse quelle anime colpevoli d'aver fino alla loro morte differito una restituzione, alla quale da sì lungo tempo erano obbligate? E se adesso i loro eredi trascurano di farlo per esse, non è forse tal cosa una deplorevole conseguenza del loro proprio peccato, delle colpevoli loro dilazioni? Res clamat ad dominum la roba d'altri vuole il suo legittimo padrone, e grida contro chi ingiustamente la ritiene.

Che se, per la cattiva volontà degli eredi, mai si dovesse fare la restituzione, è chiaro che quell'anima non rimarrebbe sempre in Purgatorio; ma in questo caso un lungo ritardo alla sua entrata in Cielo sembra essere il giusto castigo d'una ingiustizia, ritrattata, è vero, da quell'anima, ma di cui aveva lasciato la causa sempre sussistente e sempre efficace.

Si pensi quindi a queste gravi conseguenze, quando si lasciano scorrere i giorni, le settimane, i mesi, gli anni forse, senza soddisfare a un debito tanto sacro. Ohimè! quanto è debole la nostra fede! Se un animale domestico, un piccolo cane, cadesse nel fuoco, forse che si tarda a ritrarnelo? Ed ecco che i vostri genitori, i vostri benefattori, le persone che vi furono più care si torcono fra le fiamme del Purgatorio, e voi tardate, voi differite, voi lasciate passare giorni tanto lunghi e tanto dolorosi per le anime, senza darvi pena di compiere le opere che devono sollevarle!

Parlammo dell'obbligo di giustizia che incombe agli eredi di adempiere ai pii legati. Vi è un altro dovere di stretta giustizia che riguarda i figli: essi sono obbligati di pregare pei loro genitori. Reciprocamente, alla loro volta i genitori sono obbligati per diritto naturale a non dimenticare dinanzi a Dio i loro figli che li precedettero nella eternità. Ohimè! vi sono genitori inconsolabili per la morte d'un figlio, d'una amatissima figlia: eppure, invece di preghiere, loro non dànno che sterili lagrime. Ascoltate quanto a questo proposito racconta Tommaso di Cantimprè: il fatto avvenne nella sua propria famiglia.

L'avola di Tommaso aveva perduto un figlio, sul quale aveva fondato le più belle speranze. Lo piangeva giorno e notte e non voleva ricevere alcuna consolazione. Nell'eccesso della sua tristezza, dimenticava il grande dovere dell'amor cristiano, e non pensava a pregare per quell'anima sì cara. Quindi, fra le fiamme del Purgatorio, l'infelice, oggetto d'una sterile tenerezza, era tutto desolato di non ricevere alcun sollievo nelle sue pene. Dio finalmente ebbe pietà di lui.

Un giorno, nel più vivo suo dolore, quella donna ebbe una miracolosa visione. Nel mezzo di una bella strada vide una processione di giovani, belli come gli angeli, che pieni di gioia andavano verso una magnifica città. Comprese essere anime del Purgatorio che facevano la loro entrata in Cielo. Avidamente guarda per scorgere se nelle loro file scoprisse il caro suo figlio. Ohimè! il figlio non c'era; ma vide che veniva, ben lontano dietro tutte le altre, triste, sofferente, affamato e cogli abiti inzuppati d'acqua. «O caro oggetto dei miei dolori, gli gridò, perché rimani indietro di questa brillante turba? - Madre mia, rispose il figlio con voce triste, siete voi, sono le lagrime che sopra di me versate, che bagnano e macchiano le mie vestimenta, che ritardano la mia entrata nella gloria. Cessate dunque d'abbandonarvi ad uno sterile e cieco dolore. Aprite il vostro cuore a più cristiani sentimenti. Se è vero che mi amate, sollevatemi nei miei atroci patimenti: applicatemi qualche indulgenza, pregate, fate limosine per me; ottenetemi i frutti del santo Sacrifizio: con ciò mi partorirete alla vita eterno, ben più desiderabile della vita terrena che mi deste».

Allora sparve la visione: e quella madre, per tal modo richiamata ai veri sentimenti cristiani, invece di darsi in preda ad un dolore smoderato, si diede alle opere buone che dovevano sollevare l'anima del figlio.

La grande causa della dimenticanza, dell'indifferenza, della colpevole negligenza e dell'ingiustizia verso i defunti è la mancanza di fede. Quindi si veggono i veri cristiani, cui anima lo spirito di fede, fare i più nobili sacrifizi per le anime dei loro morti. Penetrando collo sguardo nel luogo delle espiazioni, come il primo ed il più santo di tutti i loro doveri riguardano il procurare ai loro parenti e amici defunti la maggior copia di suffragi. Felici questi cristiani! colle loro opere mostrano la loro fede, sono misericordiosi, ed alla loro volta otterranno misericordia.

S. Caterina da Siena ci diede un somigliante esempio. Ecco come è riferito dal suo storico, il beato Raimondo da Capua. «La serva di Dio aveva un ardènte zelo per la salute delle anime. Dirò anzitutto ciò che fece pel suo padre Giacomo. Quell'uomo eccellente aveva riconosciuto la santità della sua figlia, ed era per lei ripieno di rispettosa tenerezza; a tutti in casa comandava di non mai contrariarla in nulla, e di lasciarla praticare le sue opere buone come voleva. Quindi l'affetto che univa il padre e la figlia ogni dì cresceva. Caterina pregava continuamente per la salute di suo padre; Giacomo santamente godeva delle virtù di sua figlia, e, pei suoi meriti, faceva gran calcolo di ottener grazia da Dio.

«Finalmente la vita di Giacomo si avvicinò al suo termine, e si mise a letto gravemente ammalato. Dal momento che la figlia lo vide in quello stato, ricorse alla preghiera, e domandò la guarigione di chi tanto amava. Le fu risposto che a lui era vantaggioso il non più vivere. Allora Caterina si recò dal padre e trovò il suo spirito perfettamente disposto ad abbandonare il mondo senza rammarico, e con tutto il cuore ne ringraziò Dio.

«Ma non era soddisfatto il suo affetto figliale; ritornò a pregare per ottenere da Dio, fonte di ogni grazia, di voler non solo perdonare a suo padre tutte le colpe, ma di più, di condurlo al Cielo, senza farlo passare per le fiamme del Purgatorio. Le fu risposto che la giustizia non poteva perdere i suoi diritti, e che bisognava che l'anima fosse perfettamente pura per godere degli splendori della gloria. Caterina domandò allora con insistenza e fervore che si lasciasse vivere il padre suo finché avesse fatto espiazione completa, e che se ciò non era possibile, il Signore facesse soffrire a lei ciò che la sua giustizia richiedeva, purché l'anima del padre andasse esente dai tormenti del Purgatorio.

«Mirabile cosa! Dio cedette alla preghiera ed al desiderio della sua creatura, accettò la proposta e le rispose: «Libererò tuo padre da ogni espiazione, ma farò soffrire te, finché vivrai, la pena che gli era destinata». - Caterina, piena di gioia, esclamò: «Grazie, o Signore, della vostra parola, e si compia la vostra volontà!»

«La santa ritornò subito al letto di suo padre, entrato in agonia; lo riempì di forza e di gioia assicurandolo, da parte di Dio stesso, dell'eterna sua salute, e non lo abbandonò che dopo reso l'ultimo sospiro.

«Al momento stesso in cui l'anima di suo padre si separò dal corpo, Caterina fu assalita da violenti dolori al fianco, che le rimasero fino alla morte, senza mai lasciarle un momento di riposo.

«Mentre si celebravano i funerali e che tutti piangevano, Caterina mostrava una vera allegrezza. Consolava la sua madre e tutti, come se quella morte non la riguardasse: ciò era per aver veduto quell'anima diletta uscire trionfante dalla prigione del suo corpo e senza ostacolo lanciarsi nell'eterna luce. Dio volle così non per provarla, ma per accrescere i suoi meriti e la sua corona. Bisognava che quella santa figlia, che tanto amava l'anima di suo padre, dal suo amore figliale ricavasse qualche ricompensa, e perché aveva preferito la salute di quell'anima a quella del proprio corpo, i patimenti suoi fisici recarono vantaggio alla sua anima. Quindi sempre parlava dei suoi cari e dolci dolori, e ben ne aveva ragione, giacché quei dolori accrescevano le dolcezze della grazia in questa vita e le delizie della gloria nell'altra. Dessa mi confidò che, lungo tempo ancora dopo la morte, l'anima del padre del continuo a lei si presentava per ringraziarla della felicità che le aveva procurato. Egli le rivelava molte cose nascoste, l'avvertiva delle insidie del demonio e la preservava da ogni pericolo».

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it