Il Purgatorio

Venuti dall'aldilà: Dinanzi al medico delle anime

06/03/2017    1828     Venuti dall'Aldilà   
Un pretino si presentò all'ambulatorio del dottor Melzi.
- Che cosa si sente? Mi esponga il caso nei termini più brevi... - disse il medico con piglio tutt'altro che incoraggiante.
- Ecco di che si tratta: ho avuto molte bronchiti che mi hanno lasciato un'asma terribile, tanto che posso appena camminare e adempiere i doveri del mio ministero...
- Lei ha un enfisema polmonare avanzatissimo... e di questi mali non si guarisce.
- Sono dunque in pericolo di vita? - chiese il sacerdote con voce ferma.
- Eh, eh, che vuol che le dica? Un enfisema polmonare fa capo sempre all'asfissia, alla soffocazione...
- Questo può avvenire presto? - Mi dispensi dal risponderle.
- Ho capito e la ringrazio - disse il pretino, tornato sereno del tutto. - E perdoni se le ho fatto perdere del tempo prezioso. Il Signore sia con lei - aggiunse inchinandosi, dopo aver deposto sulla scrivania del medico una busta chiusa contenente l'onorario. Uscì con passo sicuro, quasi solenne. Giunto appena al portone di strada, si sentì una voce femminile che lo chiamò a più riprese:
- Reverendo, reverendo! abbia la compiacenza di risalire.
Quando ricomparve nel salottino del medico, questi gli mosse incontro con aspetto mutato, quasi affabile, stendendogli la mano. Balbettò:
- Lei mi deve tenere in conto di un villano e peggio ancora d'una canaglia... Mi lasci dire. Non si può essere che canaglia, quando si dicono certe cose sulla faccia d'un poveretto [...]. Lei può credermi, non è in pericolo immediato, e può con delle cure e dei riguardi vivere altri vent'anni...
Il dottore disse poi che il suo disdicevole comportamento era stato un gesto vendicativo per una lettera atroce ricevuta poco prima e che gli aveva messo la morte nell'anima. Ma lo aveva fatto richiamare anche per avere spiegazione sul comportamento del suo interlocutore.
- Appena udita la mia brutale quanto erronea diagnosi, il suo volto è cambiato, i suoi modi sono divenuti più sciolti, più sicuri, e se n'è andato come un uomo felice, come se le fossero stati promessi cent'anni di vita gioconda... - Ma lei, con le sue parole, me n'ha fatti sperare migliaia e migliaia di anni beati; me ne ha fatti intravedere un'eternità - esclamò sorridendo il povero prete. - Quando sono venuto da lei ero proprio agitato, perplesso, molto preoccupato del mio signor io. Ma poco dopo, quando lei con la sua franchezza un po' rude, ne convengo, mi ha dato la certezza della mia prossima fine, la certezza che fra poco mi sarei trovato al cospetto del mio Dio, del Dio che servo e adoro da quarant'anni, una serenità, una pace che non avrei mai osato sperare si sono impadronite di me [...].
Il medico, prendendo la mano del suo interlocutore, disse:
- Senta, mi parli con franchezza, dimenticando magari per cinque minuti il suo carattere sacro: questa sicurezza è sincera? Ci crede proprio, davvero, in Dio e in una vita futura?
- Se credo!... Io, più che credere, vivo di questa certezza sublime...
Il medico dei corpi si inchinò rispettoso dinanzi al medico delle anime e non gli disse che una sola parola:
- Grazie!
Due anni dopo il povero pretino riceveva questo biglietto dal dottor Melzi: «Sono condannato. Una irreparabile infezione mi avvelena il sangue e non mi lascia più che qualche giorno di vita. Sono circondato da persone che non credono, o si vergognano di credere. Venga, venga subito. Voglio che lei mi accompagni alla presenza di quel Dio che la mia scienza non seppe conoscere e che mi fu rivelato dalla sua fede».

Fonte: Dal Bollettino delle Suore Minime di N. S. del Suffragio, Torino, febbraio 1955.