Il Purgatorio

Capitolo 2-21: Motivi di aiutare le anime: l'esempio di santi personaggi.

Già vedemmo come S. Caterina de' Ricci e parecchie altre anime generose portarono l'eroismo fino a soffrire invece delle anime del Purgatorio: aggiungiamo ancora alcuni esempi di carità tanto meravigliosa.

La serva di Dio Maria Villani, dell'Ordine di san Domenico, notte e giorno praticava opere soddisfattorie a favore dei defunti. Un giorno, era la vigilia dell'Epifania, fece per esse lunghe preghiere, supplicando il Signore di addolcirne i patimenti in vista di quelli di Gesù Cristo, offrendogli a questo scopo i crudeli tormenti del Salvatore. La notte seguente, piacque al Cielo di manifestarle quanto quella santa pratica era gradita.

Mentre pregava, in estasi vide una lunga processione di persone vestite di bianco, splendenti per luce, che nelle loro mani portavano le diverse insegne della passione e facevano la loro entrata nella gloria. La serva di Dio conobbe nel tempo stesso che erano le anime liberate dalle ferventi sue preghiere e pei meriti della passione di Gesù Cristo.

Un altro giorno, quello della commemorazione dei morti, le fu ordinato di lavorare intorno ad un manoscritto e di passare la giornata a scrivere; ma ne provava una sensibile ripugnanza, perché avrebbe voluto consacrare tutto quel giorno alla preghiera, alla penitenza e ad altri esercizi di divozione e di sollievo delle anime del Purgatorio. Dimenticava alquanto che la obbedienza va innanzi tutto e che è scritto: Melior est obedientia quam victimae: l'obbedienza vale più delle vittime e dei più preziosi sacrifizi (Reg., XV, 22). Il Signore, vedendo la sua grande carità per le anime, degnossi apparirle, istruirla e consolarla. «Obbedite, figlia mia, le disse, fate il lavoro imposto vi dall'obbedienza e offritelo per le anime: ogni linea che oggi scriverete con questo spirito d'obbedienza e di carità otterrà la liberazione di un'anima.» - Si capisce subito che lavorò tutta la giornata col più grande ardore e che scrisse quante più poté di quelle linee tanto care a Dio.

La sua carità verso le anime non si limitava a preghiere e digiuni, ma desiderò di sostenere ella stessa una parte dei loro patimenti. Siccome un giorno pregava secondo questa intenzione fu rapita in estasi e condotta al Purgatorio. Là, fra la moltitudine delle anime sofferenti, una ne vide più delle altre crudelmente tormentata, e che le inspirò la più viva compassione. «Perché, le chiese, dovete soffrire pene tanto atroci? Non ricevete sollievo? - Sono, rispose; in questo luogo da lunghissimo tempo, e vi soffro spaventevoli tormenti a punizione delle passate mie vanità, e dello scandaloso mio lusso. Fino a questo momento non ebbi il più piccolo sollievo, perché il Signore permise che fossi dimenticata dai miei genitori, dai miei figli, da tutta la mia famiglia e dai miei conoscenti. Quando era sulla terra, data in preda agli abbigliamenti smoderati, alle mondane colpe, alle feste ed ai piaceri, di Dio e dei miei doveri non aveva che una rara e sterile memoria. La sola preoccupazione seria della mia vita era di aumentare la riputazione e le caduche ricchezze dei miei. Ne sono punita lo vedete, non serbando i miei parenti alcuna memoria di me.»

Quelle parole fecero una dolorosa impressione sopra Maria Villani. Essa pregò quell'anima a comunicarle una parte di quanto soffriva. All'istante medesimo le parve d'esser toccata in fronte Con un dito di fuoco, e fu sì forte, sì acuto il dolore che ne provò, che la fece rinvenire dalla sua estasi. Il marchio le restò sì profondamente impresso sulla fronte, che si vedeva ancora due mesi dopo, e le produceva un insopportabile dolore. La serva di Dio offrì questo dolore con preghiere ed altre opere per l'anima che le aveva parlato. Alla fine di due mesi questa le apparve, e le disse che era liberata per la sua intercessione. Da quel momento per sempre scomparve la scottatura sulla fronte.

Chi dimentica il suo amico, dopo che la morte lo ha fatto sparire dai suoi occhi, non ebbe vera amicizia. Questa sentenza, il P. Laynez, secondo generale della Compagnia di Gesù, non cessava di ripeterla ai figli di S. Ignazio: Ai pii consigli unendo l'esempio, egli alle anime del Purgatorio applicava una buone parte delle sue preghiere, dei suoi sacrifizi e delle soddisfazioni che colle sue fatiche per la conversione dei peccatori meritava dinanzi a Dio. I Padri della Compagnia di Gesù furono fedeli a quelle lezioni di carità, mostrando in ogni tempo uno zelo particolare per questa divozione, come si può vedere nel libro intitolato: Eroi e vittime della carità, nella Compagnia di Gesù. Qui ne trascriverò una sola pagina.

A Muster in Vestfalia, verso la metà del secolo XVII, scoppiò un male contagioso che ogni dì faceva innumerevoli vittime. Il timore paralizzava la carità della maggior parte e si trovavano poche persone che volessero consacrarsi agl'infelici colpiti dal flagello. Allora il Padre Giovanni Fabrizio, animato dallo spirito del Laynez e di S. Ignazio, si slanciò in quella palestra del sacrifizio. Mettendo da parte ogni personale preoccupazione, impiegava le sue giornate a visitare gl'infermi, a procurare loro i rimedi, a disporli ad una morte cristiana: li confessava, dava loro gli altri sacramenti, colle sue mani li seppelliva e poscia per la loro anima celebrava la santa Messa.

Del resto, durante la sua vita, questo servo di Dio ebbe pei morti la più grande divozione. Fra gli esercizi di pietà a lui più cari e che di più raccomandava, era quello di celebrare la Messa, pei defunti ogni volta che lo permettevano le regole liturgiche. I suoi consigli fecero si che i Padri di Munster s'impegnarono a consacrare ogni mese un giorno ai defunti; in quel dì paravano la chiesa di nero e solennemente pregavano pei morti.

Dio si degnò, come spesso lo fa, di ricompensare il Padre Fabrizio, e con parecchie apparizioni di anime incoraggiava il suo zelo. Le une lo supplicavano di affrettare la loro liberazione, le altre lo ringraziavano del soccorso loro procurato, altre ancora gli annunziavano che finalmente era per esse venuto il momento del trionfo.

Il suo più grande atto di carità fu quello che compì alla sua morte. Con una generosità veramente meravigliosa, fece il sacrifizio di tutti i suffragi, preghiere; messe, indulgenze e mortificazioni che la Compagnia applica ai defunti suoi membri: domandò. a Dio privarnelo lui stesso per farne grazia alle anime sofferenti più accette a sua divina Maestà.

Già parlammo del Padre Giovanni Eusebio Nieremberg, gesuita spagnuolo, ugualmente celebre per le opere di pietà da lui pubblicate e per le luminose sue virtù. La sua divozione per le anime non si contentava di frequenti sacrifizi e preghiere: una generosità, spinta fino all'eroismo lo portava a soffrire per esse. Fra i suoi penitenti alla corte di Madrid vi era una dama distinta, che sotto la saggia sua direzione era giunta ad un'alta virtù in mezzo al mondo, ma era tormentata da eccessivo timore al pensiero del Purgatorio che le dovrebbe tener dietro. Cadde pericolosamente ammalata, e i suoi timori raddoppiarono al punto da perdere quasi i suoi religiosi sentimenti. Il santo confessore ebbe un bell'usare tutta l'industria del suo zelo: non poté riuscire a calmarla, e nemmeno a farle ricevere gli ultimi sacramenti.

Per colmo di disgrazia, tutto a un tratto perdette la conoscenza e ben presto si trovò ridotta agli estremi. Il Padre, giustamente intimorito pel pericolo in cui si trovava quell'anima, si ritirò in una vicina cappella, presso alla stanza della moribonda. Con grande fervore vi offrì il santo Sacrifizio per l'inferma. Nel tempo stesso, si offrì in vittima, alla divina giustizia, per soffrir egli stesso in questa vita le pene riservate nell'altra a quella povera anima.

A Dio fu cara la sua preghiera. Terminata appena la Messa, l'inferma ritornò in sé e si trovò tutta cambiata; le sue disposizioni erano tanto buone, da chiedere ella stessa i sacramenti, e li ricevette col più edificante fervore. Avendole in seguito detto il suo confessore che più non aveva a temere il Purgatorio, spirò, col sorriso sulle labbra, nella più perfetta tranquillità.

Da quel momento il Padre Nieremberg fu oppresso da ogni sorta di pene nel suo corpo e nell'anima sua. Nei sedici anni che visse ancora la sua vita più non fu che un martirio ed un rigoroso purgatorio. Nessun rimedio naturale poteva alleviare i suoi dolori: l'unico addolcimento era la memoria della santa causa per la quale li sosteneva.

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it