Il Purgatorio

Capitolo 2-7: Soccorsi concessi alle anime: la santa Messa.

Nella Vita di S. Elisabetta di Portogallo leggiamo, che dopo la morte della sua figlia Costanza, conobbe il triste stato della defunta nel Purgatorio ed il prezzo da Dio voluto pel suo riscatto. La giovine principessa. da poco tempo maritata al re di Castiglia, fu da una inaspettata morte rapita all’affetto della sua famiglia e dei suoi sudditi. Elisabetta, conosciuta questa triste notizia, col re suo marito recassi nella città di Santarena; un eremita, uscito dalla sua solitudine, si mise a correre dietro al corteo reale, gridando, che doveva parlare colla regina. Lo respinsero le guardie, ma la santa, essendosi accorta della sua insistenza, ordinò che a lei si conducesse quel servo di Dio.

Trovatosi alla sua presenza, le raccontò che più di una volta, mentre pregava nel suo eremitaggio, gli era apparsa la regina Costanza, e con molto calore l'aveva scongiurato di far sapere a sua madre che gemeva nel fondo del Purgatorio, che era condannata a lunghe e dolorose pene, ma che sarebbe stata liberata, se per un anno per lei ogni giorno si celebrasse la santa Messa. ­ I cortigiani che avevano udito questa partecipazione, ne fecero le più grasse risa, e trattarono l'eremita da visionario, da intrigante e da pazzo.

Quanto ad Elisabetta, si volse al re e gli domandò che cosa ne pensasse. « Io credo, rispose il principe, che è cosa da saggio il far ciò che ci è indicato da questa voce straordinaria; alla fin fine, far celebrare messe per la cara nostra defunta, è un'opera al tutto paterna e cristiana». Fu perciò incaricato di questa cosa un santo prete, Ferdinando Mendez.

Al termine dell'anno. Costanza apparve a S. Elisabetta, vestita di bianco e raggiante di gloria. «Oggi, madre mia, le disse, sono liberata dalle pene del Purgatorio, e salgo al Cielo». - La santa, ripiena di consolazione e di gioia, si portò alla chiesa a ringraziare il Signore. Vi trovò il Padre Mendez, che le disse d'aver dal giorno innanzi terminato di celebrar le trecentosessantacinque messe di cui gli aveva dato l'incarico. Allora la regina comprese che Dio aveva mantenuta la promessa fattale dal pio eremita, e ne testificò la sua riconoscenza versando abbondanti limosine a favore dei poveri.

Ci liberaste dai nostri persecutori e confondeste quelli che ci odiavano (Salmo 43). Queste furono le parole che all'illustre S. Nicola da Tolentino indirizzavano le anime che aveva liberate per esse offrendo il sacrifizio della Messa. ­ «Una delle più grandi virtù di questo ammirabile servo di Dio, dice il Padre Rossignoli, fu la sua carità, il suo attacco alla Chiesa sofferente. Per essa sovente digiunava a pane ed acqua, crudelmente si flagellava, e attorno alle reni si metteva una catena di ferro strettamente serrata. Quando a lui si aprì il santuario, e si volle farlo sacerdote, indietreggiò dinanzi a quella sublime dignità, e ciò che finalmente lo decise a lasciarsi porre le mani, fu il pensiero che, celebrando ogni dì avrebbe potuto con maggior efficacia giovare alle care anime del Purgatorio. Da parte loro le anime che con tanti suffragi sollevava, più volte gli apparvero per ringraziarlo o per raccomandarsi alla sua carità».

Ecco effetti soprannaturali d'un genere diverso, ma che rendono ugualmente sensibile la efficacia della Messa per i defunti. Lo troviamo nelle Memorie del Padre Gérard, missionario gesuita inglese e confessore della fede nelle persecuzioni d'Inghilterra del secolo XVI. Dopo di aver raccontato come ricevette l'abiura d'un gentiluomo protestante, ammogliato con una sua cugina, il Padre Gérard aggiunge: «Questa conversione ne produsse un'altra, accompagnata da circostanze assai straordinarie. Il mio novello convertito andò a trovare un suo amico, pericolosamente infermo: era un uomo schietto, ritenuto nell'eresia più da illusione che da altri motivi. Il visitatore, vivamente insistendo perché si convertisse e pensasse all'anima sua, da lui ebbe la promessa di confessarsi. L'istruì in ogni cosa, gli insegnò ad eccitare nella sua anima il dolore dei suoi peccati, ed andò a cercare un prete. Stentò molto a trovarne uno, e in questo frattempo l'infermo morì. - Prima di spirare, il povero moribondo aveva spesso domandato se ritornava il suo amico col medico che aveva promesso di condurgli: così chiamava il prete cattolico.

«Quanto avvenne in seguito sembrò dimostrare che Dio aveva gradito la buona volontà del defunto. Le notti che tennero dietro alla morte la sua moglie, protestante, vide nella stanza una luce che si moveva attorno a lei e penetrava sino nella sua alcova. Spaventata, volle che le sue donne di servizio dormissero nella camera; ma queste videro niente, benché la luce continuasse a comparire agli occhi della padrona. La povera dama mandò a chiamare l'amico, di cui il suo marito con tanto ardore aveva aspettato l'arrivo, gli espose ciò che avveniva, e domandò che si dovesse fare.

«Questo amico, prima di rispondere, consultò un prete cattolico. Il prete gli disse che, probabilmente, quella luce era per la moglie del defunto un segno soprannaturale, col quale Dio l'invitava a ritornare alla vera fede. La dama fu vivamente impressionata da quelle parole, aprì il suo cuore alla grazia e alla sua volta si convertì.

«Una volta cattolica, per molto tempo fece celebrare la Messa nella sua camera, ma la luce ritornava sempre. Il prete, dinanzi a Dio considerando le circostanze, pensò che il defunto, salvato pel suo pentimento accompagnato dal desiderio della confessione, si trovava nel Purgatorio ed abbisognava di preghiere. Consigliò alla dama di far dire la Messa per lui per trenta giorni, conforme al vecchio uso dei cattolici inglesi. Lo fece la buona vedova, e la notte del trentesimo giorno, invece d'una luce, ne apparsero tre: due sembravano sostenerne un'altra. Le tre luci entrarono nell'alcova, poscia salirono al Cielo per non più ritornare. - Queste misteriose luci sembrano aver significato le tre conversioni e l'efficacia del sacrifizio della Messa per aprire ai defunti l'entrata del Cielo».

Il trentenario, o le trenta messe che si dicono per trenta giorni consecutivi, non è solo un'usanza inglese, come la chiama il P. Gérard, ma è molto diffuso in Italia e negli altri paesi della cristianità. Queste messe si chiamano le trenta messe di S. Gregorio, perché sembra che il pio costume risalga a questo santo Papa: Ecco ciò ch'egli ci riferisce nei suoi Dialoghi:

Un religioso, al monastero chiamato Giusto, aveva ricevuto e conservato in proprietà tre scudi d'oro. Era un fallo grave contro il suo voto di povertà: fu scoperto e scomunicato. Questa pena salutare lo fece rientrare in se stesso, ed alcun tempo dopo morì con veri sentimenti di pentimento. Intanto S. Gregorio, per ispirare a tutti i fratelli un vivo orrore del delitto di proprietà in un religioso, non per questo levò la scomunica. Giusto fu sepolto in disparte, e nella fossa si gettarono i tre scudi, mentre i religiosi tutti assieme ripeterono la parola di S. Pietro a Simon mago: Pecunia tua tecum sit in perditionem: perisca con te il tuo denaro.

Alcun tempo dopo, il santo abate, giudicando che lo scandalo fosse abbastanza riparato, e mosso a compassione per l'anima di Giusto, chiamò l'economo, e con tristezza gli disse: «Dal momento della sua morte il defunto nostro fratello è tormentato dalle fiamme del purgatorio: noi dobbiamo per carità sforzarci di liberarlo. Andate dunque, e cominciando da oggi, procurate che il santo Sacrifizio sia per lui offerto per trenta giorni; non lasciatene passar uno solo senza immolar l'Ostia di propiziazione per la sua liberazione».

Puntualmente obbedì l'economo. Nel corso dei trenta giorni furono celebrate le trenta messe. Ora venuto il trentesimo giorno e finita la trentesima messa, comparve il defunto ad un confratello chiamato Copioso, dicendo: «Benedite Dio, fratel mio: oggi stesso sono liberato ed ammesso nella società dei Santi».

Da quel punto si stabilì il pio uso di far celebrare per i defunti trentenari di messe.

Il celebre padre Lacordaire, al cominciare le conferenze sulla immortalità dell'anima, che, pochi anni prima della sua morte, rivolgeva agli allievi di Sorèze, loro raccontava il seguente fatto: «Il principe polacco di X..., incredulo e materialista confesso, stava componendo un'opera contro l'immortalità dell'anima; ed era sul punto di mandarla alla stampa, quando, passeggiando un giorno nel suo giardino, una donna tutta in lacrime si getta ai suoi piedi e coll'accento del più profondo dolore gli dice: «Mio buon principe, il mio marito muore... Forse in questo momento la sua anima travasi nel Purgatorio fra i patimenti!... Io sono in tale miseria che non ho neanche la piccola somma che occorrerebbe per far celebrare la messa dei defunti. Degnatevi soccorrermi in favore del mio povero marito!»

«Sebbene il gentiluomo fosse convinto che quella donna era ingannata dalle sue credulità, non ebbe il coraggio di respingerla. Cerca una moneta d'oro, gliela dà, e la donna corre alla chiesa, a pregare il sacerdote che offra qualche messa pel suo marito.

«Cinque giorni dopo, verso sera, il principe, ritirato e chiuso nel suo gabinetto, rileggeva il suo manoscritto e ritoccava alcune particolarità, quando, alzando gli occhi, vide a due passi da sé un uomo vestito come i contadini del paese: «Principe, gli disse lo sconosciuto, vengo a ringraziarvi. Io sono il marito di quella povera donna che vi supplicava, pochi giorni fa, di darle un'elemosina, onde fosse offerto il sacrifizio della Messa pel riposo dell'anima mia. La vostra carità fu accetta a Dio, ed egli mi permise di venire a ringraziarvi».

«Dette queste parole, il contadino polacco come un'ombra scomparve. Indicibile fu l'emozione del principe, e per lui ebbe questo risultato: mise sul fuoco la sua opera, e tanto bene si arrese alla verità, che volle che a tutti manifesta fosse la sua conversione, in cui perseverò fino alla morte».

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it