Il Purgatorio

Capitolo 2-2: Confidenza.

È vero che non tutti si trovano al predetto alto grado di carità, ma non c'è alcuno che non possa aver confidenza nella divina misericordia. Infinita è questa misericordia, e dà la pace a tutte le anime che la tengono dinanzi agli occhi ed in lei si confidano. Ora, riguardo al Purgatorio, la misericordia di Dio si esercita in tre maniere: 1° consolando le anime; 2° mitigando le loro pene; 3° dando a noi stessi prima di morire mille mezzi di sfuggire il Purgatorio.

Dio prima mente consola le anime del Purgatorio; le consola egli stesso, e per mezzo della Santa Vergine e dei santi Angeli. Consola le anime riempiendole di fede nel più alto grado, di speranza e d'amar divino, virtù che in loro producono la conformità alla volontà divina, la rassegnazione, la più perfetta pazienza. «Il Signore, scrive S. Caterina da Genova, all'anima del Purgatorio imprime un tal moto d'amore attrattiva, che basterebbe per annichilirla se non fosse immortale. Illuminata ed infiammata da questa pura carità, quanto ama Dio, altrettanto detesta la menoma macchia che a lui dispiace, il menomo ostacolo che l'impedisce di unirsi a lui. Per tale modo se potesse scoprire un altro purgatorio più terribile di quello nel quale si trova, quest'anima vi si precipiterebbe, vivamente spinta dall'impeto dell'amore che esiste fra Dio ed essa, onde più presto liberarsi da tutto quanto lo separa dal Bene supremo.

«Queste anime, dice ancora la santa, sono intimamente unite alla volontà di Dio, e tanto in lei completamente trasformate da essere sempre soddisfatte del santissimo suo decreto. Le anime del Purgatorio non hanno elezione propria: non possono più volere che ciò che Dio vuole. Per tal modo colla più perfetta sommissione ricevono tutto quanto loro dà Iddio; né piacere né allegrezza, né pena, giammai possono farle ripiegare sopra se stesse».

Questa contentezza in mezzo alle più amare sofferenze non può spiegarsi che colle divine consolazioni sparse dallo Spirito Santo sulle anime del Purgatorio. Questo Spirito divino colla fede, colla speranza e colla carità le mette nella disposizione di un infermo che sostiene una dolorosissima operazione, ma il cui certo effetto sarà di rendergli una perfetta sanità. Soffre questo infermo, ma ama patimenti tanto salutevoli. Lo Spirito consolatore dà alle anime una somigliante contentezza. Un sensibilissimo esempio l'abbiamo in quel Pietro Miles, risuscitato da S. Stanislao di Cracovia, e che preferiva ritornare nel Purgatorio anziché vivere ancora sulla terra.

Nel 1070 avvenne il celebre miracolo di questa risurrezione. Ecco come lo si trova riferito negli Acta Sanctorum, sotto il 7 maggio. S. Stanislao era vescovo di Cracovia, governando la Polonia il duca Boleslao II. Egli non mancava di ricordare i suoi doveri a questo principe, che scandalosamente li violava dinanzi a tutto il suo popolo. Si irritò Boleslao per la santa libertà del prelato, e per vendicarsi, contro di lui suscitò gli eredi di un certo Pietro Miles, morto già da tre anni, dopo di aver venduto una terra alla Chiesa di Cracovia. Gli eredi accusarono il vescovo d'aver invaso quel terreno senza pagarlo al proprietario. Ebbe un bel affermare d'avere effettuato il pagamento: siccome i testimoni che dovevano sostenerlo furono subornati od intimiditi, egli fu dichiarato usurpatore del bene altrui e condannato a restituire la terra in questione. Allora, vedendo che l'umana giustizia gli veniva a mancare, sollevò il suo Cuore a Dio e ne ricevette una subita ispirazione: domandò tre giorni di dilazione, promettendo di far comparire in persona Pietro Miles, a rendergli testimonianza. Per burla gli fu concesso.

Il santo digiunò, vegliò, pregò Nostro Signore di difendere la sua causa; ed il terzo giorno, dopo celebrata la santa messa, partì accompagnato dai suoi chierici e da molti fedeli, si portò al luogo ov'era sotterrato Pietro. Per suo ordine si aprì la tomba, che più non conteneva che ossa: le toccò col suo bastone pastorale, ed in nome di Colui che è la resurrezione e la vita, comandò al morto di alzarsi. Subito quelle ossa si rassodarono, si ravvicinarono, si coprirono di carne, ed agli sguardi stupefatti di tutto un popolo si vide il morto pigliar il vescovo per mano ed incamminarsi al luogo del tribunale. Boleslao colla sua corte e con una folla considerevole stavano nella più viva aspettazione. «Ecco Pietro, disse il santo a Boleslao, che viene a deporre testimonianza dinanzi a voi. Interrogatelo, ed egli risponderà».

È impossibile descrivere lo stupore del duca, dei suoi assessori, di tutta quella folla. Affermò il risuscitato che a lui era stata pagata la terra; poscia, volgendosi ai suoi eredi, loro fece giusti rimproveri per aver accusato il pio prelato contro ogni diritto e giustizia; per ultimo li esortò a far penitenza d'un sì grave peccato.

Fu per tal modo che l'iniquità, che già si credeva sicura dell'evento, fu confusa. Ora viene la circostanza che riguarda il nostro soggetto e che dobbiamo far risaltare. Volendo per la gloria di Dio por termine ad un sì gran miracolo. Stanislao propose al defunto di ottenergli da nostro Signore, se lo volesse, di vivere ancora per alcuni anni. Rispose Pietro che non lo desiderava. Trovavasi nel Purgatorio, ma amava meglio ritornarvi subitamente e soffrirne le pene, anziché esporsi al pericolo della dannazione in questa vita terrena. Solamente scongiurò il santo di pregar Dio perché fossero abbreviate le sue pene e che assai presto potesse entrare nella gloria dei beati. Dopo questo, accompagnato dal vescovo e da una grande moltitudine, se ne ritornò alla sua tomba, vi si ricoricò, e tosto si sfasciò il suo corpo, si staccarono le sue ossa e ricaddero nel primiero loro stato. Tutto fa credere che il santo ottenne prontamente la liberazione della sua anima.

Ciò che in questo esempio è degno di particolare osservazione, e deve attirare la nostra attenzione, si è che un'anima del Purgatorio, dopo d'aver provato i più crudeli supplizi, preferisce questo stato tanto doloroso alla vita in questo mondo: e la ragione di questa preferenza sta in ciò, che in questa vita mortale siamo esposti al pericolo di perderci e di incontrare l'eterna dannazione.

Citiamo un altro esempio delle interiori consolazioni e della misteriosa contentezza provate dalle anime fra i più vivi dolori: lo troviamo nella Vita di Santa Caterina de' Ricci, religiosa dell'Ordine Domenicano, che morì nel monastero di Prato il 2 febbraio 1590. Questa serva di Dio spingeva la carità verso le anime del Purgatorio, fino a soffrire sulla terra ciò che dovevano soffrire nell'altro mondo. Tra le altre, dalle fiamme espiatrici liberò l'anima di un principe, per lui soffrendo per quaranta giorni incredibili tormenti.

Questo principe, che la storia non nomina, senza dubbio per riguardo alla famiglia, aveva menato vita mondana, e la santa fece molte preghiere, digiuni e penitenze, perché Dio l'illuminasse e non fosse riprovato. Dio si degnò esaudirla, e l'infelice peccatore prima di morire diede evidenti prove di una sincera conversione. Con buoni sentimenti da questa vita passò al Purgatorio.

Ne ebbe cognizione Caterina per una divina rivelazione nella preghiera, ed ella stessa si offrì a soddisfare alla divina giustizia per quell'anima. Il Signore gradì questo caritatevole cambio: ricevette nella gloria l'anima del principe, ed a Caterina per quaranta giorni fece sostenere le più strane pene. Fu presa da una malattia che, a giudizio dei medici, non era naturale, e che non potevano né guarire, né sollevare. Ecco, secondo i testimoni, in che consisteva quel male: il corpo della santa si coprì di bollicelle ripiene di un umore visibilmente in ebollizione, come acqua bollente sul fuoco. Ne proveniva un estremo calore, tanto che la sua cella si scaldava come un forno e sembrava piena di fuoco; non si poteva dimorarvi alcuni istanti senza uscirne per respirare.

Era evidente che la carne dell'inferma bolliva, e la sua lingua rassomigliava ad una piastra di metallo arroventato. Ad intervalli, l'ebollizione cessava, ed allora la carne sembrava come arrostita; ma ben presto si riempivano le bollicelle, riprendendo l'ebollizione.

Frattanto, in mezzo a questo supplizio, la santa non perdeva né la serenità del volto, né la pace dell'anima; all'incontro, sembrava godesse in quei tormenti. I dolori andavano talvolta ad un tale grado d'intensità da perdere la parola per dieci o dodici minuti. Quando le religiose sue sorelle le dicevano che sembrava che si trovasse nel fuoco, rispondeva semplicemente di sì, senza più nulla aggiungere. Quando le rappresentavano che troppo lungi spingeva lo zelo, e che non dovesse chieder a Dio dolori così eccessivi; « Perdonatemi, madri mie, diceva, se vi replico. Gesù ama tanto le anime, che a lui è infinitamente gradito quanto facciamo per la loro salute. Ed è per questo che volentieri soffro qualsiasi pena, tanto per la conversione dei peccatori, quanto per la liberazione delle anime ritenute nel Purgatorio».

Spirati i quaranta giorni, Caterina ritornò all'ordinario suo stato, I parenti del principe le domandarono ov'era la sua anima, «Di nulla temete, rispose: la sua anima gode l'eterna gloria». Con ciò si conobbe che era per quell'anima che tanto aveva sofferto.

Questo fatto può insegnarci molte cose; ma l'abbiamo citato per dimostrare come le maggiori sofferenze non sono incompatibili colla pace interna. La nostra santa, sebbene visibilmente soffrisse le pene del Purgatorio, godeva d'una meravigliosa calma e d'una sovrumana contentezza.

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it