Il Purgatorio

Capitolo 4: Amici e benefattori delle povere anime del Purgatorio - prima parte

Ci furono in tutti i tempi delle persone amiche e benefattrici delle povere anime del Purgatorio, che hanno pregato, offerto, riparato e hanno compatito con loro e hanno avuto in misteriosa maniera dei rapporti con loro. Taluni e sono essi grandi santi o persone ritenute giustamente tali si sono particolarmente distinti in questo amore per le povere anime e ci sono di grande esempio e di istruzione. A taluni di questi grandi amici e benefattori delle povere anime, esse sono anche apparse, hanno chiesto loro aiuto e sono talvolta ritornate a ringraziarli o hanno avuto dal Signore la particolare grazia di mostrare loro il loro ingresso in Cielo. Altri attraverso visioni o rivelazioni private hanno potuto dare uno sguardo nel Purgatorio o vi sono misticamente passati, come santa Maria Maddalena de Pazzi e altri carismatici anche dei nostri tempi; hanno anche fatto delle descrizioni, che sono naturalmente alla maniera umana, comunque ci danno l'idea della pena assai grande delle povere anime e della tremenda e pure beata realtà - del luogo di purgazione e hanno favorito la crescita di altri amici e devoti e benefattori delle povere anime. I santi o mistici avvalorano le due verità di fede sulla esistenza reale del Purgatorio e sulla possibilità e dovere da parte nostra di venire incontro alle loro pene e pregare e offrire ed espiare per loro (cfr p. es. il volume ediz. curata da don Silvio Dellandrea: Eugenia von der Leyen: i miei rapporti con le povere anime - Ala - 58061).

1) UN IGNOTO AMICO DELLE POVERE ANIME MORTO 50 ANNI A.C.
Si tratta dell'autore del secondo libro dei Maccabei - vissuto nella seconda metà del primo secolo, avanti Cristo nel basso Egitto, probabilmente ad Alessandria, ispirato dallo Spirito Santo e pieno di grande speranza nella risurrezione. Così abbiamo una conferma che anche allora si credeva possibile la remissione dei peccati anche oltre la linea della morte, nell'Aldilà, e quindi ha un profondo significato pregare e offrire sacrifici e preghiere per le povere anime dei defunti. Egli parla dei soldati del coraggioso Giuda Maccabeo, i quali dopo la battaglio di Adullan, andarono a raccogliere le salme dei caduti per deporli nelle tombe dei loro padri. Ora essi trovarono in dosso a ciascuno dei caduti degli oggetti sacri o votivi di Jamnia, cosa che era proibita ai Giudei. Così fu evidente che essi erano caduti a causa di questa colpa. Tutti allora lodarono le disposizioni delle divina Giustizia, che svela ciò che è nascosto. Essi allora fecero una comune preghiera di riparazione, convinti che le colpe commesse dai caduti potevano essere del tutto rimesse.

Il nobile Giuda fece raccogliere fra i soldati una somma di duemila dragme di argento (circa 8 kg) e la mandò a Gerusalemme perchè fossero offerti sacrifici per i caduti - cosa questa molto bella e utile, - egli infatti pensava alla risurrezione. Infatti se non avesse creduto che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato inutile e insensato pregare per i defunti. Inoltre egli credette che coloro che irreprensibili erano entrati nella pace dovevano ricevere una gloriosa ricompensa, pio e santo pensiero questo! Per questo egli, fece offrire sacrifici, perchè venissero perdonati i loro peccati. «Maccabei 2 - I -».

2) L'AUTORE DELLA SECONDA LETTERA A TIMOTEO (fra il 70 e 1'80 dopo C.)
Al capitolo 1 vers. 16 e seg. della seconda lettera a Timoteo, l'autore sia stato san Paolo stesso o un altro per lui ispirato dallo Spirito Santo si mostra come un amico delle anime del Purgatorio e precisamente del defunto Onesiforo, un collaboratore di san Paolo, poichè nello spirito di san Paolo ci viene trasmessa una preghiera di suffragio per il defunto: «Il Signore conceda alla famiglia di Onesiforo la sua misericordia, per avermi più volte confortato e per non aver arrossito per le mie catene: anzi, egli, venuto a Roma, mi ha cercato con premura finchè mi ha ritrovato. Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso il Signore in quel giorno». La preghiera dell'apostolo per il suo defunto coadiutore, che a causa della sua coraggiosa e disinteressata operosità, fece onore al suo nome «Onesiforo» cioè colui che da con amore - è un'antica testimonianza del costume cristiano della preghiera di suffragio per i defunti.

3) LA SANTA MARTIRE PERPETUA + IL 7 MARZO 202
Di questa madre e martire cristiana dei primi, secoli cristiani oriunda di Cartagine abbiamo una particolare testimonianza della fede dei primi cristiani nel Purgatorio e del valore della preghiera per i defunti. Perpetua, una signora di alto lignaggio fu imprigionata assieme ad altre quattro persone - Felicita, Revocato, Saturo e Saturnino; essi erano tutti soltanto catecumeni, ricevettero tuttavia il battesimo prima dell'esecuzione mentre erano in carcere. Perpetua finemente educata assai venerata, aveva papà, mamma, due fratelli e il suo bambino lattante. Essa aveva circa 22 anni - Essa stessa racconta nel capitolo 3 al 10 degli indubbi Atti dei martiri tutta la storia del suo martirio.

Dapprima lei racconta degli interrogatori e accuse e tormenti cui fu sottoposta assieme ai neobatezzati suoi compagni prima dell'esecuzione capitale; poi racconta quanto le accadde in carcere: «Pochi giorni dopo la sentenza della nostra condanna a morte, mentre tutti stavano pregando, improvvisamente nel bel mezzo della preghiera mi uscì un grido ed io chiamai: Dinocrate. Restai sorpresa perchè io non lo avevo nominato prima, ma solo in questo istante, e pensai piena di tristezza alla sua sorte. Compresi anche subito che dovevo pregare per lui e subito incominciai a pregare e supplicare il Signore per lui. Io vedevo Dinocrate uscir fuori da un luogo buio - durante la notte in visione - dove c'erano tanti del tutto aridi e assetati con i vestiti sporchi e pallidissimi, con una ferita sul volto, come egli aveva quando morì. Dinocrate era un mio fratello/carnale, che morì a sette anni sfinito da un cancro al volto, per cui la sua morte fu uno spavento per tutti. Io avevo pregato per questo mio fratello defunto, e fra me e lui c'era un grande spazio cosicchè non ci potevamo incontrare. Lontano dal luogo dove si trovava Dinocrate, c'era un bacino pieno di acqua, il cui orlo però era molto più alto di dove poteva arrivare lui, ed egli cercava di allungarsi come se cercasse di bere. Io ero triste, perchè quel bacino era pieno di acqua, ma lui a causa dell'altezza di questo bacino non poteva bere. In quel momento mi svegliai e sentii dentro di me che mio fratello soffriva; io però sentivo che potevo venirgli incontro durante i giorni che noi saremmo rimasti in carcere; perchè ai giochi vicini alla prigione avremmo dovuto combattere contro le fiere; era infatti allora il compleanno dell'Imperatore Geta. Ed io pregai notte e giorno con sospiri e lacrime perchè egli mi venisse donato.

Nel giorno in cui noi rimanemmo legati, in carcere, ebbi poi la seguente visione: - io vedo il luogo visto prima, e questa volta Dinocrate con il corpo lavato, ben vestito, che si divertiva; dove c'era stata la ferita vedo un cicatrice, e l'orlo di quel bacino era più basso e arrivava ora solo fino all'ombelico del fanciullo, egli attingeva senza posa da quel bacino. Sopra l'orlo c'era anche una coppa d'oro piena di acqua; Dinocrate si avvicinò e incominciò a bere dalla coppa d'oro, e questa non si svuotava; dopo che egli ebbe bevuto abbastanza di quell'acqua prese a giocare tutto contento come fanno i bambini. In quel momento mi svegliai e compresi che Dinocrate era stato liberato dalla sua pena. »

Questo il racconto di Perpetua sulla visione, nella quale prima potè vedere il suo defunto fratello nel purgatorio e poi - dopo molte preghiere offerte per lui, lo potè vedere liberato.

4) LO SCRITTORE ECCLESIASTICO TERULLIANO + DOPO IL 220
Questo scrittore ecclesiastico oriundo di Cartagine, giurista e avvocato non fu certamente un santo, perchè dopo il 205 lasciò la chiesa e si unì alla setta rigorosa dei seguaci, di Montano, eretico, è tuttavia un insigne testimone e lo rivela in molti, dei suoi scritti, che i cristiani dei primi secoli hanno pregato per i defunti per liberarli dalle pene della purgazione nell'Aldilà. Nella sua opera «De corona militis» - della corona del soldato - al nr. 3 egli scrive: «Noi offriamo i sacrifici per i defunti nell'anniversario della loro nascita al cielo». Nella sua opera «De monogamia» egli scrive di una vedova, il cui uomo l'aveva preceduta nell'eternità: «Certamente essa prega anche per l'anima sua, supplica per lui il riposo e la, partecipazione alla prima risurrezione ed ad ogni suo anniversario offre un sacrificio. » Invece nella sua opera Esortazione alla castità contro un secondo matrimonio egli scrive di un uom era morta la moglie: «Egli offre preghiere per lei e il sacrificio nell’anniversario».

5) SANT' AGOSTINO + 28 AGOSTO 430
Certamente uno dei più noti e grandi amici delle povere anime è sant'Agostino di Tagaste, vescovo di Ippona e dottore della chiesa. E, espresse chiaramente la sua disapprovazione e il suo disappunto nel sue prediche specie verso la numerosa schiera di persone superfìciali che specialmente nei casi di morti improvvise si comportavano in maniera tutt'altro che da persone intelligenti. Egli dice: «Quando un defunte viene portato alla sepoltura si pensa alla morte. Poi si dice: poveretto, era ancora così forte, ieri era andato a passeggio; oppure l'ho visto per strada ancora la scorsa settimana e mi raccontò ancora questo e questo; bisogna proprio dire che l'uomo è un nulla, così vanno poi chiacchierando». Così accade di sentir chiacchierare quando vanno a fare le visite di condoglianze, quando il defunto è posto nella bara, quando viene portato fuori, al corteo funebre, alla sepoltura. Quando poi il defunto è sepolto sono sepolti con lui anche i pensieri, e è scomparsa anche la paura della morte. Al ritorno essi hanno già dimenticato colui che hanno portato a seppellire; essi tornano ai loro imbrogli, alle loro ruberie, nella loro invidia ed egoismo e a quelle soddisfazioni delle passioni che passano già mentre si godono. E ciò che è peggio è che, proprio il defunto serve ad essere motivo per seppellire il sano buon senso e l'intelligenza umana.

«Mangiamo e beviamo, dicono, perchè domani moriremo anche noi!» Agostino sapeva che noi cristiani dobbiamo aver cura dei nostri trapassati, ma non solo per il funerale e per la tomba, ma soprattutto delle anime dei defunti.

Esse hanno bisogno delle nostre preghiere, dei nostri suffragi, del sacrifcio della messa nel caso che essi, siano nel purgatorio. Per questo egli scrisse la sua opera «De cura mortuorum» della cura che dobbiamo avere per i defunti. In quest'opera egli chiarisce fino dove l'idea di seppellire ì morti in una basilica o presso le tombe dei martiri sia una cosa piena di alto significato: perchè in tal modo i fedeli vengono richiamati la preghiera di suffragio per i defunti, e di qui poi l'intervento dei martiri per quelle persone che hanno ancora bisogno di purificazione nell'Aldilà ne viene certamente assicurato. - Come possiamo, e dobbiamo venire in aiuto alle povere anime dei defunti - non certo con esagerate cerimonie od esagerati ornamenti delle tombe, ma con la preghiera e l'offerta del santo sacrificio della messa per i defunti, sant'Agostino lo mostra in modo commovente già in occasione della morte della sua santa mamma Monica nei capitoli 11, 12, 13 del libro delle sue Confessioni.

Anzitutto al capitolo X Agostino racconta il toccante colloquio avuto con sua madre: il figlio aveva detto che il mondo con i suoi piaceri e le sue attrattive dopo il suo battesimo e la sua ordinazione sacerdotale aveva perduto ogni attrattiva per lui. La sua mamma rispose: «Figlio mio, per quanto mi riguarda anche per me nulla c'è di più che mi attragga in questa vita. Io non so che cosa possa ancora fare e perchè sono ancora qui. Da questa vita io non mi aspetto più nulla. Ciò che ancora mi faceva desiderare di vivere era la sola e unica speranza di vederti cristiano prima di morire. Dio mi ha esaudita anche più doviziosamente di quanto potessi sperare, vederti come suo servitore, che ha voltato le spalle a tutte le gioie terrene. Che cosa ci sto a fare ancora qui?» Ciò che io allora le risposi non lo ricordo più bene. Perchè presto dopo forse 4 o 5 giorni dopo essa subì un assalto e per un breve lasso di tempo essa perdette conoscenza.

Noi corremmo da lei, ma essa si riprese subito e vedendoci al suo letto, me e mio fratello, disse come volesse sapere qualche cosa: «Dov'ero?» e vedendoci scossi e tremanti per il dolore e angoscia disse: «Seppellite vostra madre qui (ad Ostia). » lo tacqui e repressi il pianto. Ma mio fratello in poche parole disse che desiderava e credeva bene lei non dovesse morire in terra straniera, ma in patria. All'udire questo essa con gesto spaventato gli rivolse uno sguardo di risentimento, perchè egli nutriva simili pensieri; poi si rivolse a me e disse: «Senti, che cosa dice!» Poi disse ad ambidue: «Seppellite questo mio cadavere là dove si trova. Non vi dovete preoccupare per esso. Solo una cosa vi chiedo ovunque voi siate: Ricordatevi di me all'altare del Signore!... » Poi sant'Agostino descrive la morte e la sepoltura della mamma sua e la messa d'obito, che fu celebrata per lei, come pure la grande tristezza che lo aveva invaso. Ma poi egli ringrazia Dio per tutto il bene che aveva ricevuto da sua madre, ricorda però anche i piccoli errori e le piccole mancanze debolezze che essa ebbe e per i quali essa poteva avere ancora bisogno di purificazione nell'Aldilà, e come sua Madre Monica giustamente, prima di morire aveva dato tanta importanza al fatto che fosse fatta memoria di lei al santo sacrificio della messa. Poichè quando si avvicinò il giorno della sua liberazione, a lei non interessava una grandiosa sepoltura o che il suo corpo fosse sepolto con aromi e profumi, non desiderava per sè uno speciale monumento sepolcrale e non ci teneva ad essere sepolta in patria, niente di tutto questo. Un'unica cosa, desiderava, che sì facesse memoria di lei davanti al tuo altare o Dio! Ella non aveva mai tralasciato un giorno, di servirlo all'altare dove sapeva che veniva celebrato il sacrificio che liberava dai peccati e dalle ombre di essi che testimoniano contro di noi! Credeva il maligno nemico di trionfare, perchè egli ricordò tutti i nostri passati peccati e cercò tutto quanto egli ci poteva rinfacciare, ma nulla egli trovò in colui nel quale noi vinciamo, nel nostro Salvatore; chi può chiedergli ancora il sangue innocente già versato, chi può restituirgli il prezzo da lui pagato per strapparci dal nemico? La tua serva, o Dio, aveva legato con i legami della fede la sua anima al Sacramento della nostra redenzione. Nessuno la potrà strappare e togliere dalla tua protezione; leone o, dragone non potranno intromettersi nè con la violenza nè con l'astuzia. E lei non risponderà di non essere senza colpa, perchè il suo accusatore sconfitto possa vincerla e impadronirsi di lei, invece lei risponderà che le sue colpe erano perdonate da Colui al quale nessuno, può restituire ciò che Egli senza aver nessun debito verso di noi, ha tuttavia pagato per noi.

Così possa lei riposare in pace accanto al suo uomo prima del quale e dopo non aveva sposato alcun altro, al quale essa servì, offrendo a te, o Dio, i frutti di buone opere con pazienza per guadagnare a Te anche lui. E Tu, o mio Dio, e Signore, ispira ai miei fratelli, che io servo con tutto il cuore e con la parola e con gli scritti, affinchè tutti coloro che leggeranno queste cose, possano ricordarsi della tua serva e di Patricio, che era stato suo sposo, quando celebreranno all'altare del Signore. Furono essi a darmi per tuo volere la vita fisica; come io non so. Che tutti coloro che faranno pia memoria di loro, che furono miei genitori, che sono miei fratelli e figli del Padre e della nostra Madre, la Chiesa, e i miei concittadini possano trovarsi un giorno assieme nella Santa Gerusalemme, verso la quale tende e aspira il pellegrinante cammino del tuo popolo dall'inizio fino al tuo ritorno.

Allora si compirà perfettamente attraverso queste mie Confessioni l'ultima preghiera, che mi rivolse mia madre e con assai maggior abbondanza che con le mie personali preghiere?

Accanto ad altri testi tolti dalle opere di sant'Agostino, alle quali ci si potrebbe richiamare per dimostrare la sua fede nel Purgatorio e il suo amore per le povere anime, vogliamo ricordare ancora un brano tolto dal cap. 29 dei suo «Encheiridion» trattato sulla fede, speranza e carità, particolarmente utile e indicativo: «Nel tempo fra la morte e l'ultima risurrezione dell'uomo, le anime si trovano in un luogo sconosciuto, a seconda che un'anima è meritevole del riposo o del castigo, cioè a seconda di quanto essa ha compiuto nella sua vita terrena. » Perciò non si può negare che le anime dei defunti per merito della pietà dei loro congiunti ancora vivi, possano trovare sollievo, se viene offerto per loro il Sacrificio del Mediatore, G. Cristo, oppure vengano fatte elemosine nella chiesa. Tuttavia potranno trovarne beneficio soltanto coloro, che in vita hanno meritato che un giorno tali opere possano loro giovare.

C'è infatti un modo di vivere, che, non è tanto buono, che dopo la morte non abbia bisogno di tali aiuti, che però nemmeno è tanto cattivo, che dopo la morte tale aiuto non possa più loro giovare; inoltre c'è un modo di vivere così buono, cui non ha più bisogno di tali aiuti, c'è però anche un tale modo, di vivere così cattivo, che dopo la dipartita da questo mondo un aiuto non è possibile per loro. Così tutto il merito, che può essere offerto a qualcuno, dopo questa vita terrena in sollievo o in addebito, viene acquistato già qui sulla terra. Tuttavia nessuno deve lasciarsi ingannare dall'idea che alla sua morte gli venga riconosciuto da Dio come merito ciò che ha trascurato sulla terra. Nemmeno è contrario alla parola dell'apostolo, ciò che la chiesa ha cura di fare a confronto dei defunti, là dove dice: «Tutti compariremo davanti al tribunale di Dio, perchè ogni uno, a seconda di quanto avrà fatto di bene o di male nella sua vita, riceva la ricompensa meritata» (Cor. 5 - 10).

Poichè già la grazia di poter beneficiare dopo la morte dei sacrifici offerti per lui dopo la morte, uno se la deve meritare mentre vive sulla terra. Difatti non tutti gli uomini possono beneficiare di queste opere buone. Perchè? Perchè fu diversa anche la vita di ciascuno sulla terra. Quindi se viene offerto il santo sacrificio dell'altare o qualunque elemosina per tutti i fedeli defunti battezzati, cìò significa per i cristiani veramente buoni un ringraziamento, per quelli non troppo cattivi un sacrificioi di riparazione, per i cattivi assolutamente nessun aiuto dopo la morte, tuttavia sempre un sicuro conforto per i vivi. «Chi avrà beneficio dal sacrificio lo avrà o del tutto oppure avrà un sollievo nella sua pena».

6) SAN GREGORIO MAGNO + IL 12 MARZO 604
Questo santo Pontefice che giustamente porta il titolo di «Magno» - il grande - non è solo un insigne testimone della Fede della Chiesa nella purificazione dell'Aldilà; nei suoi «Dialoghi» egli parla anche di apparizioni delle povere anime. Il grande convertito e scrittore religioso inglese Fr. Gugliemo Faber nel suo libro: «Tutto per Gesù» al cap. 9 ha scritto a proposito di questo padre della Chiesa: «San Gregorio Magno per via dei suoi Dialoghi, può essere chiamato il Padre e il promotore della divozione alle povere anime, che ha preso così grande sviluppo nei secoli, a lui seguenti». Giustamente san Pietro Faber SJ + 1546 ebbe a dire che san Gregorio Magno dovrebbe essere particolarmente amato e venerato per molti e vari motivi, ma soprattutto per la sua chiara e illuminata dottrina sul Purgatorio.

Il B. Pietro Faber è anche convinto che se san Gregorio M. non avesse parlato con tanta eloquenza del Purgatorio, la divozione verso le povere anime dei Purgatorio non avrebbe certamente mai raggiunto uno sviluppo, quale essa ebbe nel corso dei secoli. Per questo ogni volta che ebbe occasione di parlare della divozione alle povere anime egli non lasciò mai di raccomandare ai fedeli una grande divozione a san Gregorio M. «Per quanto riguarda i molti racconti di miracoli e di apparizioni delle povere anime, da lui narrati nel suo libro dei Dialoghi, specialmente nel IV libro, si è molte volte rimproverato a san Gregorio di aver lasciato, parecchio da desiderare circa una sana critica e di aver favorito la mania di miracoli propria del suo tempo, che scoraggia e dimoralizza e non sembra oPrire troppo con lòrto e gioia terrena». Molto più prudente nel giudizio sui Dialoghi di s. Gregorio scrive lo storico P. J. Barbel sarebbe giudicare in ogni caso osservando con più serietà l'odierna malafede e superstizione del proprio tempo.

L'apparizione più importante e certamente ricca di conseguenze molto positive narrata nel IV libro dei Dialoghi, è quella del defunto monaco Giusto morto nel monastero di Roma, di cui era superiore Gregorio, prima di essere eletto papa,Gregorio M. che alle volte potè sembrare duro con gli altri come era rigoroso con se stesso, era stato informato di una mancanza verso la regola dell'ordine da parte del monaco Giusto e lo punì, per destare in lui pentimento e riparazione, molto duramente alla sua morte e perfino dopo la morte ordinando per il povero monaco una speciale sepoltura.

A questo proposito il papa racconta più tardi: «Passati 30 giorni dalla morte del monaco Giusto io provai, un sentimento di compassione verso il povero defunto confratello; io pensai con grande dolore alle sue pene nel Purgatorio e pensai a un modo di liberarlo da esse, lo chiamai quindi Prezioso, il priore del nostro monastero, e pieno di dolore gli dissi: «È da molto tempo ormai che il defunto confratello è tormentato nel Purgatorio; noi dovremmo offrirgli un'opera di carità, per quanto possiamo per liberarlo dalle sue pene. Perciò va, e offri per lui per 30 giorni consecutivi il santo sacrificio della messa, in modo che non ci sia mai un giorno in cui non sia celebrata per lui la s. messa». Prezioso fece come gli era stato comandato. Ora mentre noi stavamo pensando a altre cose e non avevamo contato i giorni, una volta di notte apparve il monaco Giusto in visione al suo fratello carnale Copioso. Quando questo lo vide gli chiese: «Che cosa c'è fratello, come stai? (come la va con te)» Quello, rispose: «Finora mi andò molto male, ma adesso, sto bene; perchè oggi io fui accolto nella Comunione dei Santi in Cielo. » Subito fratello Copioso raccontò la cosa ai suoi confratelli nel monastero. Allora essi contarono attentamente i giorni ed ecco che era precisamente il trentesimo giorno in cui era stata celebrata la s. messa per lui. Mentre Copioso non sapeva nulla della cosa e i confratelli non sapevano della visione di Copioso, questi seppe ciò che i confratelli avevano fatto e ciò che egli aveva visto lo conobbero i confratelli.

La visione e il sacrificio concordavano, era quindi evidente che il defunto monaco Giusto era stato liberato dalle pene del Purgatorio attraverso le celebrazioni del s. Sacrificio.

A questo racconto di san Gregorio M. risale quindi il pio uso delle cosiddette «Messe gregoriane»: per trenta giorni consecutivi vengono celebrate trenta ss. messe per un defunto nella fiduciosa speranza, che il defunto in questo modo possa ottenere la gloria beata in Paradiso. In seguito nel medesimo capitolo s. Gregorio racconta anche di un defunto che era apparso a un sacerdote e lo aveva pregato di aiutarlo: «Il sacerdote fece per una settimana penitenza con grande pianto a favore del defunto e celebrò per lui il s. Sacrificio e poi non lo trovò più nel luogo dove lo aveva visto prima per parecchi giorni. » È chiaro quindi quanto giovi alle povere anime l'offerta del santo sacrificio della messa, poichè le anime dei defunti lo chiedono ai vivi e fanno capire che attraverso esso s. sacrificio hanno potuto avere la liberazione dalle loro pene.

Nel cap. 39 del libro dei Dialoghi, dove san Gregorio prova con argomenti scritturistici l'esistenza di un Purgatorio dopo la morte, egli fa ancora questa memorabile osservazione: «Questo si deve sapere che, là nel Purgatorio nessuno può ottenere nemmeno la remissione dei più piccoli peccati veniali, se qui sulla terra non lo ha prima meritato con le opere buone! Nessuno riceve, se prima non ha dato!»

7) SANT'ODILO DI CLUNY + IL 31 DICEMBRE 1048
Odilo, il IV abate del famoso monastero di Cluny fu una delle più eminenti personalità nel suo tempo e fu in stretti rapporti con Papi e Imperatori, ma soprattutto un particolare amico delle povere anime, perchè fra il 1028 e il 1030 stabilì che in tutti i suoi Monasteri dopo la solennità di Tutti i Santi si facesse memoria di tutti i Fedeli defunti con la celebrazione di ss. Messe, l'ufficio dei defunti ed elemosine. Il decreto stabilito a questo scopo da sant'Odilo è preciso e normativo e molto importante, perchè in esso non solo si ordina la celebrazione di ss. Messe e del divino ufficio per i defunti nella solennità di tutti i Fedeli defunti, ma si insiste soprattutto sulle elemosine e stabilisce che venga offerto da mangiare a dodici poveri, e venga dato ai poveri quanto avanza a tavola dei monaci e l'elemosina delle sante messe celebrate! (Statutum Odilonis de defunctis) -.

Sotto l'influsso di Cluny e dei suoi monasteri riformati si diffuse poi ben presto in tutta la chiesa l'introduzione della festa di tutti i fedeli defunti. È impossibile dire quanto bene sia stato fatto in tal modo a pro delle povere anime attraverso i secoli. Papa Benedetto XV nella grave calamità della prima guerra mondiale il 10 agosto 1915 ordinò, stabilì che nella Festa della commemorazione di tutti i fedeli defunti ogni sacerdote poteva celebrare tre ss. Messe per i defunti (Costituzione apostolica «Incruentum altaris») Questo privilegio era già da anni concesso ai dominicani nel regno di Aragona in Spagna, poi Benedetto XIV nel 1748 lo estese a tutti i sacerdoti della Spagna, Portogallo e Sud-america.

In accordo con sant'Odilo sia ancora una volta messo, in rilievo che non solo si può venire in aiuto alle povere anime con le ss. Messe ma anche e soprattutto con elemosine e opere buone a favore dei bisognosi - cosa purtroppo oggi alquanto dimenticata! - Mentre sant'Odilo lo aveva capito tanto bene! J. Hourlier dice a proposito di sant'Odilo: «Nella sua instancabile generosità egli cercò di venire incontro a tutti i bisogni con aiuti di ogni genere. » In quegli anni in cui erano frequenti magri raccolti, mancanza di generi alimentari, rialzo dei prezzi e fame, di fronte a gravi bisogni egli non esitò a togliere dalle sacristie anche i vasi liturgici per venderli assieme con tesori delle chiese, e ad andare personalmente a chiedere l'elemosina per potere venire incontro alla miseria e sollevare i sofferenti. Ma non si accontentò di provvedere alle necessità del corpo dei vivi saziando gli affamati, egli volle aiutare anche le povere anime del purgatorio per liberarle dalle loro pene. Non era tuttavia soddisfatto dei «suffragi» (messe, elemosine etc) come erano stati offerti nel monastero di Cluny egli aggiunse alla solennità di tutti i Santi la Commemorazione di tutti i fedeli defunti.

8) SAN PIER DAMIANI + IL 22 FEBBRAIO 1069
Il grande penitente e priore dell'Eremo di Fonte Avellana oriundo di Ravenna, il cardinale riformatore, fecondo scrittore e dotto teologo Pier Damiani, dottore della Chiesa, fu certamente un grande amico delle Povere anime del Purgatorio. Ne è indizio già un aneddoto della sua infanzia. Il suo biografo Giovanni da Lodi racconta che il piccolo orfano Pier Damiani aveva trovato per caso una moneta, e invece di tenersela come avrebbe fatto qualunque piccolo come lui, egli la portò a un sacerdote pregandolo di celebrare una santa messa per i suoi defunti genitori.

Da notarsi il fatto che P. D. più tardi negli statuti per la sua comunità eremitica di Fonte Avellana, prescrisse, che i monaci all'ora della preghiera del breviario dovevano recitare anche una specie di ufficio per i defunti. Era straordinaria la cura per i defunti confratelli della Comunità monastica, per cui si facevano numerose preghiere, ss. Messe, esercizi di penitenza e buone opere di cui il santo fondatore era particolarmente capace e deciso, cosicchè nei monasteri da lui fondati e guidati fra tutte le loro preoccupazioni c'era al primo posto la premura per i confratelli defunti che forse erano in Purgatorio, per cui formarono una confraternita di oranti, che pregavano per loro. Da una lettera del Santo all'abbazia di Pomposa, vicino a Ravenna, sappiamo che egli cercò di essere accolto nella compagnia degli oranti di questo monastero. A Monte Cassino egli si diede da fare per un servizio più impegnativo e distinto in suffragio delle povere anime dei monaci defunti come si voleva fare in altri monasteri.

Alla domanda dell'abate di Cluny, perchè P. Damiani vi ci si volesse recare per definire una questione scoppiata in quell'abbazia, il santo andò solo alla condizione che fosse accolto il suo più grande desiderio, quello di essere accolto nella compagnia degli Oranti di quel monastero, dove gli si dovette anche promettere che nel futuro anniversario della sua morte si sarebbe celebrata la s. Messa conventuale e venisse fatta una «fornitura» per i poveri a suffragio della sua anima!

Durante la sua permanenza a Cluny il Cardinale Pier Damiani consacrò a Souwignj la nuova chiesa e vi fece portare le ossa del grande abate s. Odilo, il grande abate di Cluny, che aveva istituita la festa della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, e scrisse pure la vita del santo Abate.

Con l'abate Desiderio che dal 1058 reggeva il Monastero di Montecassino casa madre dell'Ordine di Benedittini, che divenne cardinale, il santo era legato da profonda amicizia e scrisse per lui il piccolo libro «Circa diverse e mirande storie e apparizioni». In questa sua opera san P. Damiani racconta diverse e importanti storie di povere anime. Così nel V cap. egli narra che il santo vescovo di Colonia Severino, benchè ancor quando era in vita era stato donato da Dio del dono dei miracoli, alcun tempo dopo la sua morte, era apparso a uno dei suoi canonici e tutto circondato da fiamme.

Quando questo canonico spaventatissimo gli chiese perchè lui, - il cui ricordo era così vivo sulla terra e il suo nome era celebrato e benedetto in tutte le chiese -, doveva patire così tremende pene in quel luogo di purgazione, il vescovo che gli era apparso gli rispose: «lo non soffro questa pena per nessun'altra ragione se non perchè quando ero alla corte dell'Imperatore, come Consigliere di Corte, non recitavo le ore dell'ufficio divino alle ore stabilite dalla chiesa (ore canoniche). Essendo io occupatissimo e sovraccarico di lavoro, avevo preso l'abitudine di recitare tutto l'ufficio del giorno fin dal mattino, tutto di seguito, per potermi poi dedicare completamente alle mie occupazioni e ai miei impegni. È a causa di questa trasgressione delle norme ecclesiastiche che ora io devo patire tremendamente ed espiare!

Ma tu, per favore, va e dillo agli altri sacerdoti della chiesa e alle altre pie persone quanto io soffro, e pregali di venirmi in aiuto con preghiere ed elemosine e con l'offerta del s. Sacrificio della Messa. Allora io sarò sicuramente e presto liberato da queste pene!»

San P. D. aggiunge a questo racconto questa osservazione: «Tutto ciò deve ispirarci un grande timore, vedendo che un uomo così santo solo per un comportamento e una colpa a noi sembrante così piccola, doveva patire un Purgatorio così tremendo! Guai a me e guai a coloro che come me che dovremmo subire una grave sentenza per colpe ben più gravi!»

Così scrive un santo che usava firmare le sue lettere con «Petrus peccator» (Pietro peccatore).

In un altro racconto il santo narra che nella Festa dell'Assunzione di Maria ogni anno venivano liberate dal Purgatorio migliaia di anime. Come prova di ciò egli racconta il seguente episodio accaduto a Roma al tempo suo: Allora si usava ancora che i fedeli la notte precedente la Festa della Madonna Assunta visitavano diverse chiese andando in processione e portando delle fiaccole accese in mano, durante una di queste processioni notturne salendo a santa Maria in Aracoeli sul Capitolino una signora vide improvvisamente in chiesa davanti a se la sua defunta madrina che era morta un anno prima. Per accertarsi se era veramente lei o se era una semplice illusione la signora decise di aspettare alla porta della chiesa la persona che le era apparsa. Effettivamente dopo un po' anche questa persona uscì dalla porta. Tutta sconvolta la signora le si avvicinò e le chiese dopo averla tirata in disparte se ella era la sua madrina Marozia. «Sì»! rispose la defunta, «sono proprio io». Allora la signora replicò: «Ma come è possibile ciò dal momento che tu sei morta da parecchi mesi ormai, come puoi essere adesso di nuovo fra i vivi?» La defunta rispose: «Finora io fui immersa in un fuoco spaventoso per castigo, perchè da giovane era stata molto vanitosa. Ma oggi la Benedetta Regina del mondo è scesa da noi e ha tratto me e molti altri fuori dalle fiamme del Purgatorio, in occasione della sua Festa che si celebra nella Chiesa. La Benedetta ripete ogni anno questo miracolo di misericordia... In ringraziamento per questa grazia noi visitiamo in questa notte i suoi santuari. Benchè io sola sia apparsa soltanto a te, sappi tuttavia che siamo qui in grandissimo numero. In prova che quanto ti dico è verità, sappi che da qui a un anno, cioè la prossima solennità della M. Assunta tu morirai. Se passato questo giorno non si sarà avverato quanto io ho detto, tu potrai pensare che fu tutta un'illusione e un inganno!» Il santo aggiunse che questa signora da quell'istante non pensò più ad altro che a prepararsi a ben morire con preghiere e mortificazioni e penitenze, e effettivamente la sera della vigilia della Festa dell'Assunta la signora fu colpita improvvisamente da un grave malore e il giorno dopo essa morì.

9) CESARIO DI HEISTERBACH MORTO NEL 1240
Il pio Maestro dei novizi e priore del monastero dei cistercensi a Heisterbach nel Siebengebirge non è un santo canonizzato, nemmeno un grande teologo, ma nella sua raccolta di racconti di apparizioni, visioni e miracoli è un valido testimone di ciò che ai suoi tempi era creduto e di ciò che la pietà popolare di quel tempo seppe comunque operare. In quel tempo le sette ereticali degli Albigesi e dei Waldesi davano parecchio da fare e turbavano la s. Chiesa. Questi insegnavano che l'anima umana era stata prima in cielo, ma lì aveva peccato e per castigo veniva condannata ad abitare in un corpo umano sulla terra; perciò la vita terrena sarebbe stata per gli uomini il Purgatorio, il tempo della purificazione; una volta completamente purificate sulla terra le anime ritornano in cielo, non c'era quindi per niente un Purgatorio nell'Aldilà. Questa dottrina sbagliata risalente agli Origenisti mosse il pio monaco cistercense a provare con molti esempi assai evidenti l'esistenza di un luogo di purgazione e che si potevano aiutare le anime ivi imprigionate. Uno di questi racconti che ha certamente una radice storica è particolarmente convincente e dà molto da riflettere. (Dal «Grande dialogo di visioni e di miracoli di Cesario Heisterbach»).

Un distinto giovin signore divenne monaco in un ordine cistercense: Egli aveva uno zio vescovo che lo amava immensamente. Quando questi seppe che suo nipote si era fatto monaco, si recò al monastero e cercò di convincerlo a ritornare nel mondo, ma inutilmente. Passato l'anno del probandato, egli fece i voti religiosi dell'ordine. Ben presto egli salì, di gradino in gradino, divenne sacerdote. Tuttavia consigliato dal demonio, per colpa del quale i primi uomini furono cacciati dal Paradiso terrestre, egli dimenticò i suoi voti, il suo ministero sacerdotale, e peggio ancora dimenticò Dio il suo Creatore e uscì dall'ordine. Ma poichè si vergognava di tornare dai suoi, egli si unì a una banda di masnadieri. E qui giunse a uno stato di degradazione da superare tutti i suoi compagni. Ora avvenne che durante l'assedio di una fortezza egli fu colpito mortalmente da un colpo sparato dalla fortezza. I suoi compagni lo portarono in un villaggio vicino e lasciarono alcuni che avessero cura di lui. Ma poichè non c'era più alcuna speranza di salvezza, lo si esortò a confessarsi per sfuggire almeno in tal modo, alla morte eterna. Ma egli rispose: «A che cosa mi potrà servire la confessione dal momento che io ho compiuto tante malvagità e tanti delitti?» Gli fu risposto «La misericordia di Dio è più grande dei tuoi delitti». Alla fine egli obbedì alle loro istanze e disse: «Chiamatemi un sacerdote». Questi venne si pose accanto al ferito. Allora Dio che può trasformare un cuore di pietra in un cuore di carne, fece nascere nel suo cuore un tale dolore e pentimento, che il ferito non solo si confessò una volta, ma volle ripetere la sua confessione piangendo in tal modo, che non riusciva più a parlare per i singhiozzi. Finalmente riuscì a ricomporsi e disse: «Signore i miei peccati sono più numerosi dell'arena del mare. Io ero un monaco cistercense, e vi fui ordinato sacerdote, trascinato dalla mia passione ho lasciato l'ordine. E non mi bastò essere un rinnegato. Io mi associai a una banda di masnadieri che tutti superai in ferocia, mentre essi rubavano soltanto delle cose, io uccidevo e non risparmiavo nessuno. Mentre essi talvolta avevano dei sentimenti umani e risparmiavano qualcuno, io, nella durezza del mio cuore non risparmiavo nessuno. Violentai donne e ragazzi e molte cose distrussi col fuoco». Il povero moribondo molte cose raccontò ancora della sua vita di masnadiero, che quasi superano la capacità umana. Il sacerdote spaventato al sentire tali delitti e fuori di sè stesso diede questa insensata risposta: «I tuoi peccati sono troppo grandi, perchè tu possa ancora trovare perdono»!

Ma quegli rispose: «Signore, io conosco la Scrittura. Ho sentito spesse volte leggere, che la malvagità non è paragonabile alla misericordia di Dio, perchè Dio ha detto per mezzo del profeta Ezechiele: Ogni volta che un peccatore si pente dei suoi peccati, egli viene salvato e anche: Io non voglio la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva!

E perciò io vi prego per via della misericordia di Dio di impormi la penitenza dovuta!» E il sacerdote rispose: «Io non so che penitenza importi, perchè tu sei ormai un uomo perduto. » Ma colui che era stato una volta monaco rispose: «Signore, io non sono degno di ricevere da voi una penitenza e così io stesso mi imporrò la penitenza. Così io scelgo duemila anni di Purgatorio, affinchè dopo questi duemila anni io possa trovare la grazia davanti a Dio!» Poichè egli era fra due estremi - la paura dell'inferno e la speranza della salvezza eterna - tornò a pregare il sacerdote: «Poichè voi mi avete negata l'assoluzione, vi prego almeno di non negarmi il conforto del santo Viatico della Santa Cena!»

Il sacerdote sconcertato e pazzo rispose: «Io non ho avuto il coraggio di importi una penitenza, come posso ora portarti il Corpo del Signore?» Poichè il sacerdote non volle concedergli nessuno dei due sacramenti, il povero morente gli fece ancora un'ultima preghiera: «Io voglio scrivere su di un foglio come vanno le cose per me; dopo di che voi dovrete portarlo al vescovo, che è mio parente. Io spero che pregherà per me!» E questo finalmente, il sacerdote lo promise.

Il monaco di un tempo morì pentito e andò al Purgatorio. Il sacerdote venne dal vescovo e gli consegnò la lettera del defunto. Appena il vescovo la ebbe letta pianse amare lacrime e disse: «Mai ho amato un uomo così teneramente. Io ho sofferto quando egli entrò in convento, ho sofferto quando egli divenne infedele, ora io soffro per la sua morte! Io lo ho amato da vivo, devo amarlo anche da morto. Poichè è morto pentito e quindi si deve aiutarlo, non posso mancargli le preghiere della mia diocesi!» Poi scrisse agli abati, ai priori dei monasteri, ai prelati, ai decani e parroci e a tutti quelli che erano impegnati nella cura d'anime pregandoli di pregare per il defunto. Egli scrisse anche ai monasteri femminili e pregò le presenti a voce e le altre con lettere, affinchè volessero fare speciali preghiere, che egli stesso ordinò loro durante tutto l'anno per la pace dell'anima del defunto. Il vescovo, non contento di questo celebrò ogni giorno la santo messa, fece elemosine e preghiere per la liberazione di quell'anima dal Purgatorio. E quando per malattia o per altri motivi non poteva celebrare di persona, lo fece fare da un altro sacerdote a nome suo!

Passato un anno dopo la santa messa apparve al vescovo il defunto pallido, distrutto, magro e vestito di scuro. Dalla sua espressione e dai suoi vestiti si poteva capire come stava. Quando il vescovo gli chiese come gli andava e da dove veniva egli rispose: «Sono nella pena e vengo dal luogo di pena, ma sii ringraziato per le tue preghiere e per il tuo amore, perchè grazie alle tue preghiere ed elemosine e i benefici spirituali che furono offerti per me in tutta la tua diocesi, questo anno mi ha tolto via mille anni di Purgatorio e se tu rivolgerai ancora per un anno a suffragio della mia anima tali preghiere e offerte e sacrifici come quest'anno io sarò completamente libero» Sentendo questo il vescovo fu pieno di gioia, ringraziò Dio e mandò altre lettere come aveva fatto l'anno prima narrando a tutti nelle parrocchie e nei monasteri la visione avuta e chiedendo che volessero tutti, continuare ancora per un anno nelle preghiere e suppliche per l'anima del povero defunto. E lui stesso continuò la sua preghiera ed elemosine e ss. messe anche con maggior impegno e fiducia di prima.

Passato anche il secondo anno, e il vescovo celebrò la sua messa per il defunto nipote, questi gli apparve di nuovo, ma questa volta con un vestito bianco come la neve e il volto sereno e gioioso e disse: «Tutto è andato come desideravo. » E disse ancora al vescovo: «Dio onnipotente ricompensi il tuo amore, reverendissimo Padre, perchè grazie al tuo zelo io sono stato strappato dalle pene ed ora entro nella gioia del mio Signore. Ecco che questi due anni di preghiere mi sono stati contati per duemila anni di pena nel Purgatorio!»

Da quel momento il vescovo non lo vide più.

10) SAN SIMONE STOCK + IL 16 MAGGIO 1265
Questo grande santo inglese è pure annoverato fra i grandi amici delle povere anime per via di una visione che un antico documento narra aver lui avuto da parte della Madonna, mentre una notte, come spesso faceva stava pregando e con particolare fervore chiedeva alla Madonna un particolare segno della sua protezione verso l'ordine che gli era pure tanto caro. Egli è ricordato nell'ordine carmelitano come sesto Generale dell'Ordine e fondatore della Confraternita dello Scapolare.

Simone Stock nacque a Herfort nel Kent, figlio di genitori molto distinti, pare che fin dalla sua giovinezza si sia ritirato in solitudine eremitica sistemandosi nel cavo di una grande quercia. Quando sull'inizio del XIII secolo tornarono in Inghilterra due lord inglesi provenienti dalla terra Santa condussero con se dei manonaci del Carmelo e fondarono un monastero a Holme nel Nordhumberland. e uno ad Aylesford in Kent, Simone Stock si unì a loro nel 1212, perchè era stato colpito profondamente dalla loro ardente divozione alla Beata Vergine e dal loro stretto rigore di vita. Fatti i voti dell'Ordine mandarono Simone, che allora aveva circa 50 anni a Oxford perchè vi facesse gli studi di teologia. Laureatosi e divenuto dottore egli tornò al suo monastero e nel 1225 fu nominato Coadiutore del Priore Generale dell'Ordine. Nel 1226 egli si recò a Roma, dove ottenne da Papa Onorio III l'approvazione della Regola dell'Ordine. Da Roma peregrinò fino al monte Carmelo dove rimase sei anni in stretta e rigorosa penitenza e meditazione. Quando per la pressione dei Saraceni gran parte degli eremiti del Monte Carmelo dovettero abbandonare la Terra Santa, ritornare in Europa, egli ritornato in Inghilterra divenne Assistente del V Generale dell'Ordine e poi nel 1280, a 80 anni egli fu eletto VI Priore Generale dell'Ordine. Egli esercitò questo ufficio con grande sapienza e pietà fino al suo centesimo anno di età. Durante un suo viaggio per visitare i monasteri dell'Ordine, morì a Bordeaux il 16 maggio 1265 e fu sepolto in quella cattedrale. (Prendo dal II volume del sac. Emilio Campana: Maria nel Culto).

Scapolare del Carmine: È il più antico e diffuso degli scapolari. L'opinione sostenuta costantemente dai Carmelitani, ed accettata senza sospetti dal popolo credente, è che questo Scapolare è di origine celeste, perchè consegnato al beato Simone Stock VI generale dei Carmelitani dalla stessa Vergine durante una visione di cui lo favorì. Tale apparizione si fa risalire al 1250 ed è diffusamente narrata in un documento che si dice scritto dallo stesso segretario del B. Simone P. Swanington, che però rimase ignorato negli archivi carmelitani di Bordeaux, e venne pubblicato solo l'anno 1642 da P. Cheron, che ne aveva fatto la fortunata scoperta. A pag. 401 della sunnominata opera e seg. si trova il testo del documento citato - riprendo solo l'essenziale di esso... Mentre il santo stava pregando una notte - come spesso faceva - con particolare fervore la B. Vergine - egli racconta «Ella mi apparve accompagnata da un grande stuolo di beati e tenendo in mano l'abito del nostro Ordine, mi disse: - Questo è il Privilegio, che io do a le e a tutti i Carmelitani - Chi muore con quest'abito non avrà a patire il fuoco eterno. -» Questa assicurazione non è quella che si ricorda di solito parlando del così detto privilegio sabatino, nel quale si afferma che la Madonna avrebbe dato a Papa Giovanni XXII, cosa però assai incerta! (D.S.D.)

Diciamo che secondo il «Privilegio sabatino» la Madonna avrebbe assicurato ai suoi particolari devoti carmelitani o delle associazioni e terz'ordine carmelitano, che fossero vissuti nello spirito del Carmelo, avessero portato «abiti o scapolare grande o piccolo», essa sarebbe subito (sabato) discesa a liberare dal Purgatorio le loro anime il sabato dopo la loro morte o come forse più giustamente qualcuno intende di sabato ella sarebbe scesa a liberare dal purgatorio le anime di tali suoi devoti!

Comunque, come esaurientemente dimostra il celebre Carmelitano B. Xiberta, il «Privilegio sabatino» fu confermato almeno genericamente da diversi papi, non ultimo Pio XI il 18 marzo 1922 con una lettera al Priore generale dei Carmelitani in occasione del sesto centenario del «Privilegio sabatino» e poi dallo stesso Papa Pio XII; comunque la divozione del B. Simone Stock verso le povere anime ha certamente molto influenzato e favorito la divozione del popolo verso le povere anime.

11) SAN TOMASO D'AQUINO + 7 MARZO 1274
L'angelico dottore (Doctor angelicus) ha esaurientemente risposto alla domanda - se si potevano aiutare le povere anime dell'Aldilà. Egli parla dei «Suffragi nel Supplemento alla sua summa teologica.» In una lunga lettera che è un trattato, da lui scritta a un Cantore di Antiochia egli riassume la dottrina «Tutta la Chiesa prega per i Defunti fedeli». È chiaro che essa non prega per quelli che sono all'Inferno, di dove non c'è liberazione, e nemmeno per coloro, che godono della beata visione di Dio, perchè hanno raggiunto il loro ultimo fine; non resta quindi altro da pensare che ci sia una pena purificatrice dopo questa vita terrena e la chiesa preghi per la remissione di essa pena.

Ma la sua dottrina riesce assai più chiara dalla pratica e cioè da quanto si narra della sua sorella Marotta, che era divenuta badessa di santa Maria a Capua nel 1253, che morì però già 4 anni dopo nel 1257, mentre suo fratello si trovava a Parigi. Dallo scritto di Gherardo Frachet « Vitae fratrum» apprendiamo che la defunta badessa apparve al suo santo fratello pregandolo di celebrare delle sante messe per liberarla dal Purgatorio. Il santo supplicò i suoi uditori di pregare per la sua defunta sorella. Guglielmo di Tocco narra questo fatto nella «Vita di san Tomaso d'Aquino».

Maestro Tomaso... che parlava più di cose celesti che di cose terrene, aveva anche frequenti consolazioni da parte di cittadini del Cielo. Si narra a proposito di ciò, che mentre si trovava a Parigi, gli apparve sua sorella in sogno visionario. Mentre gli diceva di trovarsi in Purgatorio, lo pregò che celebrasse un certo numero di messe. Essa sperava di essere liberata per mezzo di questo prezioso aiuto. Allora Tomaso radunò i suoi studenti e li pregò di celebrare delle sante messe e di fare delle preghiere per l'anima di sua sorella. Quando più tardi s. Tomaso si trovava a Roma, gli apparve di nuovo sua sorella in una visione e gli rivelò che ora era stata liberata dal Purgatorio e grazie alle sante messe che lei aveva chiesto ora godeva della gloria del Cielo. Avendogli poi il santo chiesto di sè stesso, come stavano le cose, essa rispose: «Tu, fratello tu ti trovi in una felice condizione e verrai presto da noi. Ma a te è riservata una gloria più grande della nostra. Soltanto conserva quello che tu hai». Quando poi chiese di suo fratello Landulfo, essa rispose che era al Purgatorio. Di Reginaldo, altro fratello del santo che era stato tolto di mezzo dall'Imperatore Federico II, ella disse che era in Paradiso.

Guglielmo Tocco narra anche di un'altra visione avuta da s. T. Un'altra e più meravigliosa fu rivelata a Maestro Tomaso, che non fu solo a mò di sogno, ma corporale e manifesta. Mentre egli stava pregando in chiesa nel convento di Napoli, gli apparve il suo confratello e Maestro di teologia Romano di Roma (questo Romano è Romano Rossi Orsini, nipote di papa Nicola III - Orsini). Tomaso disse a colui che gli era apparso: «Benvenuto! Quando siete arrivato qui?» Quello rispose: «Io sono dipartito dalla vita terrena. Per i tuoi meriti mi fu concesso di apparirti». Allora s. Tomaso si riprese dallo stupore che lo aveva sconvolto a quella improvvisa apparizione e rispose: «Se a Dio piace, allora io ti scongiuro di rispondere alla mia domanda: come va con me? le mie opere piacciono a Dio?» Romano rispose: «Tu sei in buona posizione e le tue opere piacciono a Dio!» L'angelico dottore chiese ancora: «e con te come va?» E quello rispose: «Io sono nella Vita eterna, ma fui 15 giorni in Purgatorio per via della negligenza, di cui mi resi colpevole in un testamento, che il vescovo di Parigi mi aveva ordinato di stendere al più presto; io, però ho rimandato con negligenza la stesura di esso. » S. Tomaso gli chiese ancora: «Come va con quella questione della quale spesso abbiamo discusso fra noi, se cioè il possesso della scienza che si acquista quaggiù, di là nella Patria rimane?» E quello rispose: «Fratello Tomaso, io vedo Dio, e voi non dovete cercare altro su questa questione!» E Tomaso ancora: «Come vedi Dio? Dimmi se lo vedi senza una infrapposta immagine o mediante rassomiglianza?» Ed egli rispose: «Come abbiamo udito, così vediamo nella città del Signore degli eserciti!» Subito dopo disparve. Ma Tomaso rimase colpito da una così meravigliosa e insolita apparizione e contento per una risposta così tranquillizzante. Felice Dottore Angelico, cui sono stati rivelati e affidati i misteri celesti, e che i cittadini del cielo istruirono in una maniera così confidenziale e guidarono al regno dei Cieli.

12) SANTA GERTRUDE DI HELFTA + IL 15 NOVEMBRE 1302
Sarebbero molte le grandi mistiche tedesche del M. Evo, che furono grandi aiutanti delle povere anime e che dovremmo qui ricordare, comunque ne vogliamo ricordare una: Santa Gertrude di Helfta. Già a 5 anni essa, fu portata nel monastero delle Suore Cistercensi di Helfta e poi colà avviata agli studi umanistici e teologici. Il 27 gennaio del 1281 essa ebbe una visione di G. Cristo, che per tutto il resto della sua vita la legò intimamente e strettamente a Cristo. Nelle visioni che si susseguirono, essa venne anche a conoscenza della sorte di defunti nell'Aldilà. Il quinto libro della sua opera «Messaggeri del divino Amore» al capitolo 34 ne è pieno. Vero è che questo libro non ci viene direttamente dalla mano di Gertrude, perchè esso fu scritto solo dopo la sua morte dalle consorelle della santa. Viene comunque fedelmente narrato in esso ciò che la grande mistica aveva visto nelle sue visioni circa la morte e la fine nell'Aldilà di diverse consorelle e di parecchi fratelli dell'ordine che erano stati al servizio del monastero di Helfta. In questo libro viene pure rilevata assai attentamente la fede della santa nella purgazione dell'Aldilà e anche la sua ferma convinzione, che Dio accoglie la preghiera dei vivi e soprattutto la s. messa offerta per loro per alleviare e abbreviare il tempo della loro Purgazione. Fra le diverse visioni a tale proposito vogliamo ricordare qui quelle che riguardano la morte di due sorelle carnali, che furono chiamate da questo mondo mentre erano ancora novizie.

Due giovani di alto lignaggio, ma ancor più di elevati sentimenti, sorelle secondo la carne, ma anche più intimamente imparentate per lo spirito e la loro virtù, dopo esser vissute nell'innocenza durante la loro fanciullezza, ancora novizie nel monastero di Helfta furono chiamate da questo mondo allo sposalizio del Re Immortale. Gertrude vide la prima di queste due sorelle che se ne dipartì nella Festa dell'Assunzione di Maria SS. mentre stava pregando per lei, in una grande luce e straordinariamente adorna davanti al trono di Cristo Re. Essa stava tuttavia davanti a Lui come una sposa vergognosa, che cercava di volgere altrove lo sguardo e non osava aprire gli occhi e alzarli verso la gloria di una così eccelsa Maestà. Gertrude vedendo questo nell'ardore del suo amore disse al Signore: «Perchè, o Dio amabilissimo permetti a questa tua Figlia di stare davanti a Te come una estranea e non la accogli nel tuo beatificante abbraccio?»

Allora sembrò che il Signore nel suo generoso abbassamento stendesse il suo braccio... ma l'anima della defunta sorella si sottrasse al suo abbraccio con delicato rispetto, cosicchè Gertrude rimase ancora più sorpresa e disse a quest'anima: «Perchè ti sottrai all'abbraccio di un così amabile sposo?» Ma quella rispose: «Io non sono ancora perfettamente purificata e mi impediscono ancora alcune macchie! Perciò anche se l'ingresso a Dio mi fosse già aperto da ogni parte, io mi sottrarrei dallo Sposo, perchè io so che non sono ancora adatta per uno sposo, così sublime. » Gertrude riprese: «Ma come può essere ciò, poichè sembra che tu stia ormai davanti al Signore come una che è nella gloria?» Quella rispose: «Benchè ogni creatura sia presente davanti a Dio, tuttavia ogni anima si avvicina a Lui nella misura in cui progredisce nell'amore. Ma quella beatitudine che rallegra l'anima attraverso la visione e il godimento della Divinità, come perfetta ricompensa, nessuno merita di ottenerla prima di essere purificato anche dalla minima macchia ed è diventato degno di entrare nel gaudio del suo Signore. » Un mese dopo venne a morire la sorella della prima. Dopo che Gertrude ebbe a lungo pregato per lei, essa vide quell'anima presto dopo la sua dipartita in un luogo pieno di luce, come una piccola ancella, che adorna di rosse vesti viene presentata allo Sposo. Apparve anche accanto a lei il Signore nella figura di un giovane delicato, rianimò con le sue cinque ferite i cinque sensi della sua anima con meravigliosa dolcezza e la confortò con la sua delicatezza e il suo abbassamento. Allora Gertrude disse al Signore: «Tu o Dio di ogni consolazione sei così benevolo verso quest'anima. Che cosa vuol dire che il suo sguardo triste tradisce un'intima pena?» Il Signore rispose: «A causa di questa mia presenza essa non può ancora godere la pienezza della gioia, perchè io le dono solo la gioia della mia umanità. Perchè in tal modo io ho ricompensato solo quell'amore e divozione, che lei ha dimostrato sul suo letto di morte per la mia passione. Ma più tardi quando essa sarà completamente purificata dalle negligenze della vita terrena, Io la riempirò completamente di gioia con la presenza della mia beatificante divinità.» Al che Gertrude riprese: «Non furono espiate tutte le sue debolezze terrene dalla sua pietà alla sua morte, poichè in un luogo della S. Scrittura è detto che l'uomo sarà giudicato come sarà trovato alla fine della sua vita? Il Signore diede allora questa risposta: «Quando vengono a mancare le forze ad una persona che muore, allora anche la sua vita è già alla fine, egli non può più nulla con le sue forze, ma solo con la sua volontà. Colui al quale Io per la mia bontà immeritata dono ancora buona volontà e pia aspirazione, fa ancora un passo avanti; egli non può tuttavia riparare a tutto il debito delle precedenti omissioni in misura tale e così perfettamente, come quando l'uomo è ancora sano e capace di migliorare la sua vita. »

Allora Gertrude riprese: «Però, o mio Signore, non potrebbe la tua dolcissima misericordia liberare quest'anima, alla quale Tu in fin dalla sua fanciullezza hai dato un cuore così ricco e benevolo verso tutti dall'impedimento delle sue negligenze?» Il Signore rispose: «Io rimunererò ricchissimamente la dolcezza del suo cuore e la sua buona volontà, tuttavia la mia Giustizia esige che essa sia prima purificata da ogni macchia. La mia sposa è d'accordo con questa mia giustizia, perchè dopo la purificazione essa sarà completamente consolata dalla gloria della mia divinità. »

Avendo l'anima della defunta approvato con gioia queste parole del Signore, il Signore ritornò immediatamente in Cielo, mentre essa rimase al suo posto dove era e con tutte le sue forze tendendo verso l'alto, cercava di salire. Da questo essere rimasta sola quell'anima fu purificata da quella faciloneria giovanile, per cui essa si era troppo intrattenuta talvolta con la gente e attraverso la faticosa salita essa fu purificata da quella pigrizia alla quale aveva talvolta indulto per causa della sua stanchezza.

Un giorno s. Gertrude mentre stava pregando durante la santa messa per questa defunta novizia alla elevazione della SS. Ostia pregò così: «Signore, Padre santo, io ti offro questa Ostia santissima per lei da parte di tutti quelli che si tovano in Cielo, sulla terra e nel Purgatorio! Ed ecco apparire quell'anima un po' più sollevata in alto, innumerevoli persone, che stavano in ginocchio davanti a lei, elevavano con ambedue le mani la SS. Ostia nell'alto. Essa ne ebbe un grande sollievo e beneficio e disse: «Ora esperimento realmente quanto sia certo ciò che dice la S. Scrittura, e cioè che nell'uomo nulla c'è di buono, fosse anche la più piccola cosa, che non venga ripagata, e nessuna colpa che non sia espiata prima, o dopo la morte; perchè proprio per questo, perchè io ricevevo volentieri la S. Comunione, ora ricevo tanto sollievo dal Santo Sacramento dell'altare offerto per me. E poichè io ho sempre voluto bene alle persone tutte, ora mi è di giovamento la preghiera fatta per me. Perciò io aspetto per tutto in particolare una eterna ricompensa in Cielo!» A queste parole pareva che venisse elevata ancora più in alto, portata dalla preghiera della Chiesa; finalmente arrivata al posto per lei stabilito, essa comprese che il Signore nella pienezza della sua misericordia le sarebbe venuto incontro con la corona della gloria e l'avrebbe introdotta nell'eterna gloria.

S. Gertrude offriva frequentemente la s. Messa a Dio per le povere anime e vide poi la loro liberazione dal Purgatorio.

13) SAN NICOLA DA TOLENTINO + IL 10 SETTEMBRE 1305
Questo santo eremita agostiniano, che con una vita di rigorosa penitenza con la sua predicazione e con la sua instancabile attività in confessionale e molti miracoli, avvenuti per sua intercessione ancora mentre era vivo, convertì molti peccatori, fu anche un grande amico e benefattore delle povere anime del Purgatorio. Per questo motivo due papi lo hanno dichiarato «Patrono delle povere anime», e precisamente papa Bonifacio IX nelle sue due Bolle: «Splendor paternae Gloriae» del 1 gennaio 1390 e «Licet quis de cuius» del 1° marzo 1400, e papa Leone XIII nel Breve del 10 giugno 1884, nel quale erigeva canonicamente «La Pia Unione sotto il Patrocinio di san Nicola da Tolentino in aiuto delle povere anime del Purgatorio». Anche l'arte cristiana rappresenta questo santo assieme alle ss. Anime del Purgatorio secondo la visione che lui ebbe di esso, oppure mentre celebra la santa messa per le povere anime, che vengono intanto liberate dalla loro purgazione e salgono al Cielo.

Presto dopo essere stato ordinato sacerdote dal vescovo Benvenuto da Osimo da Cingoli presso Macerata nel 1269, Nicolò da Tolentino celebrò ogni giorno con grande fervore la s. Messa - solitamente dopo essersi confessato - certo che in tal modo, come insegna la fede, poteva offrire il più grande aiuto alle povere anime. Egli fu spinto a ciò soprattutto dal fatto che una notte di sabato, gli apparve una povera anima, che lo scongiurò di voler celebrare il giorno dopo (domenica) per lei e per un certo numero di altre anime che soffrivano nel Purgatorio. Nicola che conobbe la voce di colui che lo pregava, ma del quale non poteva capacitare, gli chiese come si chiamasse. «Io sono il tuo defunto amico frate Peregrino da Osimo» fu la risposta, «e a causa dei miei peccati avrei meritato l'inferno; tuttavia per la grande misericordia di Dio sono sfuggito alla dannazione eterna, ma sono condannato a una durissima purificazione in Purgatorio. Ora io vengo da te e ti prego di offrire domani per me e per un certo numero di anime al Signore Iddio, poichè per mezzo di questo santo Sacrificio noi abbiamo la ferma fiducia di essere liberate dai nostri tormenti e ottenere almeno un sollievo»: «che il Signore voglia farti partecipe dei meriti del Suo Preziosissimo Sangue» rispose Nicola «ma per quanto mi riguarda domani io non posso farti questo favore, perchè domani e per tutta la settimana devo compiere il servizio di «ebdomandario» (il sacerdote che per una settimana doveva celebrare la santa messa secondo le intenzioni del Monastero)». Allora il defunto con lacrime e singhiozzi: «Ah! se tu hai così poca compassione di noi, almeno vieni, ti scongiuro per amore di Dio, vieni e vedi con i tuoi occhi ciò che noi dobbiamo patire; e allora non sarai certamente più così duro da negarci ciò per cui ti ho pregato; io so che dopo non ti assumerai più la responsabilità di averci lasciato ancora a lungo nei tormenti del Purgatorio»!

Sembrò allora al santo di trovarsi lui stesso in Purgatorio, dove vide una grande piana, sulla quale innumerevoli povere anime di ogni età e condizione venivano purificate in diverse maniere, tutte tormentanti in modo che nessuna fantasia umana si potrebbe raffigurare. Quando tutte queste povere anime avvertirono il sacerdote, tutte ad una voce lo pregarono con grida di dolore, che spaccavano il cuore, di aver compassione di loro e venire loro in aiuto. Il defunto amico Peregrino da Osimo disse a Nicola: « Vedi costoro sono, che mi hanno mandato da te, poichè tu piaci a Dio, noi abbiamo la ferma fiducia che se tu celebrerai per noi il santo sacrificio della messa, saremmo liberati dalle nostre pene». Sconvolto da quanto aveva visto e udito in quella notte allo spuntar del giorno Nicola si recò dal suo superiore e gli narrò tutto. Il superiore allora dispensò subito il santo dal suo ufficio di ebdomadario e non solo gli permise di celebrare in quella mattina di domenica per quelle povere anime, ma di seguito per tutta la settimana.

Si ricorda anche che il santo, perchè le ss. Messe da lui celebrate tutta la settimana, perchè fossero del massimo gradimento a Dio, si sottopose in quei giorni ad una rigorosa penitenza. Egli continuò poi per tutta la sua vita questo rigoroso e penitenziale modo di vivere e resistette anche a tutti gli assalti del demonio, che lo voleva distogliere da quelle preghiere e penitenze. Il santo tenne fermo al suo impegno di preghiera e di penitenza a pro delle povere anime, anzi alla preghiera dell'Ufficio prescritta aggiunse anche la recita dell'Ufficio dei defunti. Finita quella settimana di preghiere e riparazione apparve di nuovo al santo il suo amico Osimo circondato da una meravigliosa luce nella quale il santo vide pure un gran numero di altre anime liberate dal Purgatorio, che lo salutavano come loro liberatore e poi assieme a frate Peregrino volarono verso il Cielo cantando il versetto del salmo 43 «Tu ci hai salvati da coloro, che ci tormentavano e hai confuso quelli che ci avevano in odio». Ancora molte volte durante la sua vita di rigorosa osservanza monacale, apparvero al santo delle povere anime, che si raccomandavano alle sue preghiere, o lo ringraziavano per l'aiuto che avevano da lui ricevuto.

14) LA BEATA CRISTINA VON STOMMELN + IL 16 NOVEMBRE 1312
Fra gli amici delle povere anime va ricordata pure la B. Cristina von Stommeln, vicino a Colonia, morta il 6 novembre 1312, beatificata dal s. papa Pio X. Cristina von Stommeln fu anche una delle più grandi mistiche e stigmatizzate della storia, come ce la ricorda e rappresenta H. Maria Hoecht nel suo libro «Da san Francesco a P. Pio e da S. Teresa d'Avila a Teresa Neumann» (ediz. Christiana-Verlag Stein am Rhein C. H.)

Durante la sua vita da 1242 al 1312 ci furono così tante cose meravigliose per le estasi, visioni e per le grandi sofferenze che la portarono alla stigmatizzazione, come pure le spaventose tentazioni e attacchi del demonio che si potrebbero ritenere leggendarie, se non fossero testimoniate soprattutto dal dotto teologo Pietro di Dacia, discepolo di s. Alberto Magno. Egli si recò molte volte da Cristina von Stommeln e ha descritto ciò che aveva visto e udito di persona e dal curator d'anime e direttore spirituale della Beata, il Parroco Giovanni.

Questo esperto, dotto e imparziale teologo non ebbe per niente un atteggiamento non rigoroso e acritico di fronte alle apparizioni e alle cose eccezionali che avvenivano nella beata Cristina, il modo con cui Pietro di Dacia descrive le estasi della Beata testimonia comunque con grande penetrazione e sicurezza un eccezionale spirito di osservazione. Ora però noi non ci occupiamo tanto delle visioni e delle estasi della Beata Cristina e nemmeno gli spaventosi assalti del demonio, per i quali ebbe tanto da soffrire e poi tutte le altre pene sostenute e la partecipazione alle Passione del Signore fino al momento in cui ricevette le stimmate, invece rileviamo il fatto che Cristina sopportò tutto in ispirito di espiazione e di riparazione e nell'intento di salvare in tal modo le anime e liberare quelle che erano nel Purgatorio. Si resta quasi spaventati di fronte alla durezza e al rigore delle sue penitenze, alle quali inoltre volontariamente si sottopose per soccorrere le povere anime. Queste spesso le apparivano a schiere per chiedere il suo aiuto e poi per ringraziarla dopo che erano state liberate dalle pene del Purgatorio.

Il Certosino P. Lorenzo Surio morto a Colonia nel 1578 nel suo capolavoro «De. Probatis sanctorum Historiis» che egli fece pubblicare Colonia negli anni 1570 - 1575, racconta fra le altre cose riguardanti la Beata Cristina von Stemmeln quanto segue: «Quando, dopo la sua dipartita, l'anima di Cristina comparve davanti all'eterno Giudice, questi le propose di scegliere se voleva subito entrare nella Gloria eterna che essa aveva sicuramente meritato, o se invece voleva ritornare ancora una volta alla terra e colà continuare ancora per altri anni la sua vita di penitenza a conforto delle povere anime. Che cosa fece la santa? Senza alcuna esitazione scelse la seconda proposta e subito il Signore la fece ritornare ancora in vita con grande meraviglia di coloro, che stavano addolorati attorno al suo cadavere e già stavano pensando al suo funerale. La Beata però non solo continuò nella sua vita di penitenza di prima, ma aumentò ancora le sue già inaudite penitenze tanto da toccare quasi il limite dell'incredibile.

Cristina meriterebbe di essere maggiormente conosciuta e non solo in Germania, ma nel mondo e anche meriterebbe che si concludessero le pratiche della sua canonizzazione!

Cristina fu sepolta nel grande duomo di Colonia dove sta pure una statua lignea che rappresenta la santa seduta su una specie di trono e ai suoi piedi una figura di cane. (Nota di d. S. Dellandrea)

15) IL BEATO FRANCESCO FABRIANO + NEL 1322
Se c'è uno fra i discepoli di san Francesco particolarmente innamorato delle povere anime, questi è Francesco Beninbeni da Fabriano presso Ancona, figlio di un medico, a sedici anni, era entrato nell'ordine francescano, dove per mezzo del Beato frate Leone, confidente e confessore di san Francesco d'Assisi crebbe in generosità e fortezza d'animo. Il suo fecondo lavoro si svolse soprattutto nella sua patria e nelle Marche. Si legge fra le altre cose nella sua vita, che un giorno mentre celebrava la santa Messa per le povere anime, come spesso faceva, alla fine recitò secondo la vecchia liturgia della messa per i defunti le preghiere stabilite, egli udì nella chiesa quasi vuota numerose voci, che rispondevano gioiosamente: «Amen!» Erano le voci di quelle anime benedette per le quali egli aveva celebrato la s. messa.

Di questo beato monaco francescano, che papa Pio VI elevò agli onori degli altari il 1 aprile 1775, si racconta anche che egli offriva a Dio tutte le sue preghiere, sacrifici, penitenze esclusivamente per le povere anime, senza riservare per se nemmeno il più piccolo merito. Si può quindi dire di lui che fu il primo a vivere «l'atto eroico di amore per le povere anime».

16) IL BEATO ENRICO SIUSO + IL 25 GENNAIO 1366
Il carissimo Beato Enrico Siuso domenicano, nativo di Costanza, una vera Gloria della Svizzera cristiana assieme a Mastro Eckart, non fu certo un grande pensatore, come Mastro Eckart, nemmeno il grande predicatore come il suo grande confratello Giovanni Taulero, ma certamente un grande mistico, raffinato da lunghissime e grandi sofferenze, che riuscì a superare con la grazia divina e la gioia che gli veniva dalla sua confidenziale dimestichezza e divozione a Gesù Bambino. Grande confessore e direttore spirituale, grande mistico, il quale in mistiche apparizioni e visioni potè conversare con angeli e santi e con le povere anime, ed era profondamente convinto della «Comunione dei Santi» della quale fanno parte «nella chiesa trionfante» i Santi in Cielo, «nella chiesa pellegrina sulla terra» i Fedeli cristiani e «nella chiesa Purgante» le anime che devono ancora subire la purgazione in Purgatorio.

Nel VI capitolo «della Vita» del Beato Enrico Siuso si dice testualmente di lui: «Gli furono rivelate in visione molte cose future e nascoste, e Dio gli fece partecipare e sentire nel limite del possibile come uno si sente in Cielo, come si trova nell'Inferno o nel Purgatorio. Non era cosa insolita per lui, che molte anime dipartite da questo mondo gli apparissero e rivelassero la loro sorte, come avevano fatto la loro penitenza, come si poteva venire loro in aiuto e quale era la loro Vita in Dio.» Quali anime gli siano apparse il Beato normalmente non lo disse. Sostiene tuttavia, fra il resto, che gli erano apparsi i suoi genitori defunti e Mastro Eckart e un defunto amico e collega di studi. Nel sesto capitolo «della sua vita» si racconta: «Suo padre che aveva condotto una vita mondana, gli apparve dopo la sua morte e con volto pieno di sofferenza gli fece vedere il suo tremendo castigo nel Purgatorio e gli fece sapere anche perchè aveva meritato questo castigo e anche il modo con cui lo avrebbe potuto aiutare.

Il Beato fece tutto quanto gli aveva chiesto l'anima di suo padre. Poi suo padre gli si mostrò un'altra volta e gli disse che grazie al suo aiuto, egli era stato liberato dal suo castigo. La sua pia Madre per il cui mezzo Dio aveva operato miracoli ancora mentre era viva, anche gli si mostrò in una visione e gli fece vedere il grande premio, che essa aveva ricevuto da Dio, di molte altre anime ebbe simili visioni. Fra le altre gli apparve anche il beato Mastro Eckart...

Questi gli fece sapere che viveva in una straripante Gloria, in cui la sua anima era tutta beata in Dio. Allora il suo discepolo Enrico S. chiese di fargli sapere due cose: primo come si trovino gli uomini in Dio che sulla terra avevano voluto soddisfare con estremo abbandono alla Altissima Verità: ebbe in risposta che nessuno potrebbe comprendere l'inabissamento di queste persone nell'immenso abisso di Dio! Il Beato chiese ancora: «Quale è l'esercizio più utile all'uomo che volesse raggiungere quell'altissima Unione»? Ed ebbe questa risposta «Egli deve secondo il proprio essere, sprofondarsi e immergersi nel più profondo abbandono e prendere tutte le cose come provenienti direttamente da Dio e niente dalle creature e avere la massima pazienza verso tutti gli uomini lupo».

Nel 41 capitolo della «Vita» troviamo questo racconto riguardante un suo collega di studi e amico. Quando da giovane E.S. frequentava le scuole superiori il Signore gli fece incontrare un caro compagno pieno di timor di Dio. Mentre un giorno avevano a lungo parlato confidenzialmente di Dio, il suo compagno con tutta confidenza lo pregò di lasciargli vedere il nome di Gesù che egli aveva disegnato sul suo cuor egli non lo faceva volentieri, ma poi vedendo la sua grande divozione esaudì la sua preghiera, aprì il suo abito all'altezza del cuore e gli mostrò il piccolo gioiello, come il suo compagno desiderava. Quando dopo essere stati alcuni anni assieme i due amici dovettero separarsi si diedero vicendevolmente la benedizione come segno di fedeltà e si accordarono che dovevano conservare sempre la loro amicizia anche dopo morti e colui che sarebbe rimasto vivo doveva celebrare settimanalmente due sante messe per l'amico defunto: un Requiem al lunedì e una messa della Passione il venerdì. Dopo qualche anno l'amico del Beato morì, ma questi dimenticò la promessa delle sunnominate ss. messe, conservando tuttavia viva l'amicizia e il ricordo. Ma un giorno mentre il beato se ne stava nella sua cappella tutto raccolto in se stesso gli apparve in visione il suo amico, gli si pose davanti e gli disse con voce lamentevole: «Oh, amico mio quanto sei infedele! Come ti sei dimenticato di me?» Il Beato rispose: «Io ti ricordo ogni giorno nella s. messa» E il compagno a lui: «Ciò non basta! Mantieni per me la promessa nostra delle ss. Messe, perchè scenda per me quaggiù il Sangue innocente, per liberarmi dal fuoco che non risparmia, in tal modo sarò presto liberato dal Purgatorio!» E il Beato fece quanto doveva con gran premura e con grande rincrescimento per la propria dimenticanza, e così l'amico fu presto liberato dalle sue pene.

Il Beato Enrico riteneva con assoluta certezza che colui al quale sarebbe toccata una grave condanna in Purgatorio, avrebbe potuto facilmente espiarla sulla terra o abbreviarla almeno. Leggiamo, infatti: «in quale maniera l'uomo viene maggiormente messo alla prova da Dio venire in tal modo maggiormente glorificato, egli ricorda fra le vari specie di sofferenze anche questo; alcune sofferenze vengono mandate da Dio all'uomo nell'intento di risparmiargli anche maggiori dolori come accade a quelle persone alle quali Dio permette di espiare quaggiù, il loro Purgatorio con malattie, povertà o altro, cosicchè essi sfuggono alle conseguenti pene del Purgatorio... » Nel V capitolo del suo «Horologium sapientiae» che ha per sotto titolo: «Quant'è utile al servo di Dio aver molto da soffrire in questa vita» si legge: «La tribulazione è così salutare, che non c'è quasi nessuno che si volesse sottrarre al suo benefico influsso, sia egli un principiante, o un progredito o un perfetto. La tribulazione tira via la ruggine del peccato, essa fa crescere le virtù e porta con sè abbondanza di grazia. Che ci potrebbe essere di più utile di questo tesoro? Esso cancella i peccati, diminuisce il Purgatorio, allontana le tentazioni, spegne la passione, rinnova lo spirito, e fortica la speranza.

Sempre nel medesimo libro il santo mette in rilievo quanto grande vantaggio provenga dalla frequente meditazione della passione del Signore e salvatore nostro Gesù Cristo.

Fra le altre cose consolanti che possiamo così avere, il Beato ricorda in primo luogo, la diminuizione della pena del Purgatorio; e ciò da due punti di vista, primo perchè già qui sulla terra noi possiamo espiare la pena che ci sarebbe dovuta in Purgatorio del tutto o almeno in parte e secondo perchè in tal modo possiamo abbreviare la pena alle povere anime o abbreviarla: «Il creatore della Natura non lascia disordine nella natura». Però nemmeno la Giustizia divina lascia impunita alcuna colpa e niente di cattivo. Egli corregge convenientemente o in questa o nell'altra vita ciò che è distorto. Che cosa credi o quando pensi che finisca il castigo di un peccatore colpevole di molti misfatti e che non ha riparato nemmeno la millesima parte del suo debito e quindi dovrebbe restare nei tormenti del Purgatorio fino a che ha pagato, fino all'ultimo centesimo del suo debito? Oh che infinitamente lunga sarebbe la sua attesa! Quale continuo e doloroso tormento, incommensurabile tormento! Una penitenza più dura di qualsiasi tortura terrena! Ora vedi come uno può facilmente e presto soddisfare ad un così grosso debito. Ciò lo può fare colui che sa attingere dall'immenso tesoro della Passione dell'Agnello innocente. Questo tesoro che è il prezioso per via della grandezza dell'amore, per la dignità della Persona e per l'intensità del dolore, è sufficiente, più che sufficiente!

L'uomo potrebbe fare suo questo merito tanto facilmente e potrebbe acquistarsi tanto di questo merito, che se meritava mille anni di Purgatorio per essere purificato dalle sue colpe, in breve tempo per questi meriti infiniti piamente invocati potrebbe esserne liberato.

Nel libro della eterna Sapienza a conclusione di queste note si legge... «cosicchè l'anima entra nella gloria eterna senza alcun Purgatorio». Ora se il Beato Siuso si attende così tanto solo dalla meditazione della Passione di Cristo per la diminuizione della pena o del tempo di essa nel Purgatorio, tanto e infinitamente di più dalla rinnovazione del sacrificio della Croce nella santa messa. Perciò egli raccomanda di celebrare il s. Sacrificio della messa per i defunti, perchè per i meriti del sangue innocente sia spento il rigore del Purgatorio. H. Denifle, che pubblicò gli scritti del B. Siuso nota a proposito del sucitato luogo e di altri ancora degli scritti del Beato, che la dottrina cattolica sul Purgatotorio e del valore del s. Sacrificio della messa non potrebbe essere rappresentato più efficemente e splendidamente.

Mosso dal suo confidenziale rapporto con le povere anime il Beato propose di frequente meditazioni sul Purgatorio; e queste meditazioni non solo lo spinsero a pregare e riparare sempre più per le povere anime, ma anche a trarne salutari ammaestramenti per la sua vita. Ciò che egli scrisse nel libretto dell'eterna sapienza e che raccomandava sempre ai suoi penitenti e a quanti ricorrevano a lui per consigli egli lo applicò sempre e prima di tutto a se stesso.

Il miglior consiglio, la più grande sapienza e previdenza che ci sia al mondo è questa che tu ti prepari con una confessione generale e poichè ti comporti in seguito sempre come se tu dovessi andartene di là entro il giorno o al massimo entro la settimana. Immaginati che la tua anima sia destinata al Purgatorio e vi si dovesse fermare per una decina di anni a causa dei suoi peccati. Essa piange dicendo: ecco adesso è venuta l'ora, ora capisco che non potrebbe essere diversamente. Ecco che le mani incominciano a morire. La vista mi vien meno, gli occhi si spengono, i passi della morte si accordano al battito del cuore. Incomincio a respirare profondamente, la luce di questo mondo se ne va; vedo ormai in quei mondo... Oh mio Dio quale vista! Appaiono orribili figure, mi circondano belve infernali; esse si appostano per vedere se la mia anima sarà data loro in pasto; Oh giudice di tremenda giustizia. Come tu soppesi le minime cose, delle quali nessuno si era curato data la loro piccolezza! Mi copre un freddo sudore. O tremendo sguardo del rigoroso giudice, quanto duro il tuo giudizio! Ora rivolgo i miei pensieri al Purgatorio, dove tra poco sarò condotto; e in quel territorio di tormenti vedo angoscia e miseria! Vedo le fiamme cocenti salire oltre il capo delle genti castigate, quelle povere anime salgono in quelle fiamme nere come faville nel camino. Esse gridano: «Quanto grande è la nostra pena» Tutti i cuori uniti assieme non potrebbero comprendere e misurare la nostra angoscia e la grandezza della nostra miseria.

Si sente ripetersi continuamente il grido: «Aiuto! aiuto!» Dove sono tutti gli aiuti dei nostri amici? Dove sono le false promesse dei nostri amici infedeli? Come ci hanno potuto abbandonare così del tutto, dimenticarci! Abbiate pietà di noi, pietà almeno voi che ci siete amici. Poveri noi che non abbiamo per tempo espiato ciò che ora ci tormenta. Lo avremmo potuto fare tanto facilmente da vivi! Qui la più piccola pena è assai più grande di qualsiasi tormento sulla terra! Un'ora in Purgatorio ha la durata di cento anni. Ma ciò che più ancora ci tormenta è di essere private della beatificante visione dell'Altissimo!

Oltre quanto detto sulla morte, giudizio e Purgatorio, la divina sapienza aggiuge: «Tutto questo lo devi considerare bene e devi cercare di farlo finchè sei giovane, sano e forte. Quando poi verrà davvero l'ora, e non potrai più farlo bene, allora niente hai più da considerare sulla terra se non la mia morte e la mia misericordia insondabile, perchè tu non abbia a perdere la speranza».

17) LA SERVA DI DIO ADELAIDE LANGMANN + 1375
Adelaide Langamm nata verso il 1312 a Norimberga, figlia di un patrizio di quella città, fu costretta a contrarre matrimonio a tredici anni; dopo appenà un anno però rimase vedova e così potè entrare nelle Domenicane di Engeltal vicino a Norimberga, dove allora era priora la Grande Mistica Cristina Ebner. In questo monastero Adelaide scrisse per ordine dei suo confessore, il Domenicano Corrado von Fiissen le sue visioni e quelle delle sue sorelle nel libro dal bellissimo titolo: «Sovraccarica di grazia». Qui giunse a perfetta maturità anche Adelaide Langmann che visse una vita di grandissima pietà, di rigorosa penitenza e raggiunse alti gradi della mistica.

Nelle sue «Rivelazioni» Adelaide descrive le sue visioni, le sue esperienze mistiche e le numerose apparizioni e visioni di povere anime con le quali si può dire che visse una vita di amore, di sacrificio e dalle quali imparò a conoscere tanti misteri dell'Aldilà! Essendole il divin Salvatore apparso varie volte, le disse un giorno: «Tu mi sei tanto cara, che se io con il mio martirio e la mia morte non avessi salvato altro che te sola, non mi rincrescerebbe di aver patito tutto questo». Fu allora riempita l'anima di Adelaide di un ardente fuoco di amore e di un ardente desiderio di cooperare all'opera della redenzione, con la conversione dei peccatori e con la liberazione delle povere anime del Purgatorio.

Una visione da lei descritta nelle sue «Rivelazioni» spiega molto bene il significato del suo pregare. Adelaide racconta il fatto in terza persona, ma è lei la protagonista: Nella solennità di tutti i santi essa fu spiritualmente condotta nel Purgatorio. Essa vi vide le anime in ogni sorte di pene. Essa fu condotta anche a quelle anime, che in se avevano già tutto espiato, tuttavia non potevano ancora vedere Dio, colà vide delle donne che erano state nel suo monastero, che si credevano già da tempo in paradiso, ma ancora di fatto non erano nella gloria. Essa vide pure l'anima della sua mamma. Anche questa pensava che da tempo fosse in paradiso. Essa vide là anche alcune anime, che da tempo sarebbero salite in cielo, se qualcuno avesse recitato per loro un'«Ave Maria» o un «Parer» o un Miserere. Esse non soffrivano altra pena se non quella di non poter ancora vedere Dio. Eppure esse soffrivano tanto che tutte assieme gridavano: «Signore, abbi pietà di noi e fa che quelle persone sulla terra ci vengano in aiuto! Esse credono che noi siamo già in cielo e per questo nessuno ci viene in aiuto. Signore, Dio Onnipotente, fa che questu persona (Adelaide) che ora è qui fra noi provi la sofferenza che noi abbiamo, e così preghi più volentieri per noi!» E subito questa suora ebbe la stessa pena. Essa provò una tale sete che credette di doverne morire. Però questa sete non era di avere una bevanda corporale, era solo una infinita sete di Dio e delle gioie, del Cielo e la sete di un'«Ave Maria». Ed essa incominciò a gridare assieme a quelle anime: «O voi tutti amici ai quali io ho fatto un po' di bene abbiate pietà di me e aiutatemi a uscire da queste pene!» E appena uno ebbe detta un'«Ave Maria» tutte come un sol uomo e lei con loro, furono tanto felici quanto lo può essere un assetato al quale viene offerto un bicchiere di acqua. Rientrata in sè stessa essa fece di tutto per aiutare quelle povere anime che aveva conosciuto. Essa pregò per loro ancora di più di prima e con un amore sempre più grande, perchè essa conobbe di persona le loro pene e ne ringraziò il Signore, perchè non le aveva fatto provare «il grande Purgatorio»!

La preghiera devota e incessante di Adelaide liberò migliaia di anime, intere schiere di peccatori ottennero da Dio per le sue preghiere e penitenze la grazia della conversione. A noi, moderni, forse i numeri che essa ci presenta possono forse sembrare esagerati. Tuttavia chi può valutare la forza della preghiera e della penitenza di un'anima tutta immersa nell'amore di Dio? Adelaide Langmann era un'anima che tutta ardeva dell'amore di Dio! Quando in una visione il Signore le propose la scelta o di erntrare subito in Paradiso o di rimanere ancora sulla terra per pregare ed espiare per le povere anime, essa lasciò a Lui la scelta e dopo, poichè l'aveva fatta restare ancora in vita, continuò a pregare ancora con maggior zelo e con maggior amore per la conversione dei peccatori e per la liberazione delle povere anime del Purgatorio.

18) SANTA FRANCESCA ROMANA + 9 MARZO 1440
Questa grande santa nata giuppersù entro il 1384 a Roma, che visse e operò al tempo dello scisma di Occidente era stata un tempo molto venerata e con giusta ragione e non solo perchè essa nella sua pur relativamente breva vita passò per tutti gli stati di vita giovane donna sposata, madre esemplare e vedova e poi nell'ordine religioso e nemmeno il fatto che il suo angelo custode le era spesso visibilmente a fianco e la difese dagli assalti del demonio e nemmeno perchè essa fu un modello ed un esempio di un operoso amore del prossimo, assistendo poveri malati di ogni genere e specialmente i poveri appestati, ma soprattutto perchè Francesca Romana fu una delle più grandi e generose amiche delle povere anime del Purgatorio, per cui è invocata nelle preghiere per le povere anime.

Questa santa attraverso molte visioni non solo potè vedere il Paradiso e l'inferno, ma anche nel Purgatorio come ci assicura il suo confessore e parroco allora in santa Maria in Trastevere. Oltre il Trattato sui miracoli di Francesca Romana e i suoi combattimenti contro gli spiriti maligni, c'è anche un libro del Parroco di s.M. in Trastevere Giovanni Matiotti e un trattato dove si descrive come l'arcangelo Raffaele condusse Francesca Romana vicino al Purgatorio e glielo fece vedere. Certo che questo scritto è molto influenzato dalla rappresentazione del Purgatorio di Dante Alighieri al canto 33 della sua Divina Commedia. Ciò comunque non toglie che talune cose descritte dalla santa al suo confessore non siano veramente toccanti ed abbiamo indotto molte persone a curarsi si più delle povere anime e abbiano cercato di venire loro in aiuto.

Del resto la rappresentazione quasi topografica del Purgatorio fatta da s. Francesca Romana non è oggetto di Fede, ma soltanto illustrazione di quanto insegnano la chiesa e la teologia nel loro magistero circa la doppia pena nel Purgatorio quella del «danno» e quella del «senso» come già sopra più volte illustrato.

Secondo Francesca Romana il Purgatorio, questo «Regno dei dolori» è diviso in due grandi regioni: quella superiore dove si trovano le anime che soffrono la pena del danno (non possono vedere Dio) e pene meno gravi sensibili per colpe non gravi commesse; qui il Purgatorio consiste in un'infinita nostalgia di Dio e della sua beatificante visione. Nel Purgatorio di mezzo soffrono quelle anime, che hanno colpe più gravi da espiare. A sua volta questa regione si divide in tre zone. La prima è come una palude di acqua gelata; la seconda come uno stagno di pece che scorre e piena di olio bollente; la terza zona come uno stagno dove bolle una schiuma come di argento e oro liquefatto. 36 angeli hanno da Dio il compito di immergere di volta in volta le anime in questi tre stagni; essi compiono questo loro incarico, con molta coscienziosità, ma anche con molto rispetto verso le anime e con molta compassione e verso le quali dimostrano un grande amore. In fine la terza regione, quella più bassa, che sta molto vicina all'inferno, è piena di un fuoco che penetra le ossa e le midolla, fuoco che si distingue da quello dell'inferno solo per la sua opera purificatrice e santa.

Anche qui ci stanno ancora tre zone diverse. Nella prima dove si soffre un po' meno ci stanno i laici, i cristiani secolari che vivono nel mondo e soffrono castighi per colpe gravi non ancora espiate; la seconda dove la pena è assai più grave è destinata ai chierici che non furono ancora ordinati sacerdoti, e così pure le religiose e i fratelli laici; finalmente la terza zona, la più dolorosa è quella destinata ai sacerdoti e ai vescovi. E questi che ebbero maggior dignità e maggior conoscenza della dottrina e maggiori grazie cui non hanno corrisposto come si conveniva e che non sono vissuti in maniera degna della loro condizione soffrono naturalmente le pene maggiori differenti dalle pene dell'inferno solo per la loro durata, che non sono eterne. Anche qui la pena non è eguale per tutti, ma a seconda del numero della gravità delle colpe commesse e non espiate e a seconda del grado della dignità della persona, eguale cosa si dica per la durata e intensità delle pene.

È tuttavia confortante il pensiero che Francesca sostiene, che cioè Dio accoglie effettivamente le intenzioni di coloro che offrono preghiere o opere di riparazione o di penitenza a pro di una determinata anima, a meno che non ci siano particolari motivi per cui tali opere o preghiere non giovano a quella determinata anima (per es: se uno non ha mai avuto stima della messa o ha trascurato di seguirla o di ascoltarla nei giorni di festa, questi non usufruisce dei meriti del s. Sacrificio offerto per lui) Santa Francesca Romana dice che le preghiere e le opere buone offerte dai fedeli sulla terra per una determinata anima del Purgatorio tornano subito a favore di questa anima, però non solo esclusivamente a lei, ma anche a tutte le altre in forza della loro intima comunione fra loro. Se però detta anima è già nella gloria, allora il merito delle preghiere e opere buone va naturalmente a favore delle altre povere anime che ancora sono nella pena.

19) IL VENERABILE DIONISIO IL CERTOSINO + IL 12 MARZO 1471
Dionisio, il Certosino, chiamato col suo nome di famiglia D. van RIJKEL oppure van LEEUWEN fu chiamato «DOKTOR EXTATICUS» e l'ultimo degli Scolastici, come ha scritto O. Karrer nel suo libro «Storia e Testi della Mistica del Medio Evo» LA GRANDE FIAMMA, una delle figure più rappresentative della fine del Medio Evo. Egli unisce le estasi di amore dei grandi mistici e la rigorosa ascetica di «un uomo da un corpo di ferro», come egli stesso diceva di se, le visioni dei più sensibili e delicati veggenti spirituali e le rivelazioni, di un profeta con una attività quasi incredibile come scrittore di teologia e pratico direttore spirituale... Dopo i suoi studi all'università di Colonia Dionisio il Certosino, visse la maggior parte della sua vita nel monastero cistercense o certosa di Betlehem Mariae in Roermond (Olanda). Questo uomo visse ciò che scrisse. Tutto il suo lavoro culturale e il suo pensiero non si esaurisce nella immobilità di vita di un dotto, ma sotto un continuo risveglio dello spirito, sensibile ad ogni tocco del soprannaturale. Raramente una persona ha vissuto le angoscie dei 4 Novissimi come questo certosino quando egli scrive di essi. Egli fu in continuo rapporto con i defunti.

Egli disse a un suo confratello che centinaia di volte gli erano apparse le povere anime. Per questo egli continuava a raccomandare la preghiera per le povere anime che espiavano nell'Aldilà, e nella sua Opera «Suppe Perfezione dell'Amore» egli ha scritto un bellissimo capitolo, nel quale dimostra come sia cosa degna giusta e salutare e doverosa pregare per le povere anime del Purgatorio; forse ci son fra loro i propri genitori, parenti, amici, benefattori; inoltre ci sono tante povere anime alle quali nessuno pensa o perché non hanno nessuno o perchè credute da tempo in paradiso e che ricevono solo i suffragi generali della chiesa; eppure queste povere anime chiedono senza sosta in un inesprimibile desiderio della visione di Dio l'aiuto dei vivi.

In un altro capitolo di quest'opera Dionisio ha raccolto commoventi e bellissime preghiere in suffragio delle povere anime, genitori, parenti, benefattori; e soprattutto egli pensa a quelle anime che furono chiamate improvvisamente e impreparate all'eternità; per esse egli non solo offre la santa Messa, ma anche tutti i meriti dell'Uomo-Dio della sua Vergine Madre, di tutti gli angeli santi, e tutte le opere buone che saranno offerte dalla chiesa fino alla fine dei secoli. Dio gli disse che non si doveva dimenticare, che in Purgatorio la giustizia di Dio chiede che soddisfatto fino all'ultimo centesimo, e c'erano tantissime anime nel Purgatorio che da anni soffrivano atroci dolori; benchè i loro familiari le credessero da tempo in paradiso.

In altre due opere Dionisio descrive le pene del Purgatorio, richiamandosi alle visioni di un monaco inglese, alle rivelazioni di s. Brigida, e anche al pensiero di san Tomaso, di san Bonaventura, di Alessandro di Hales e sostiene che le sofferenze del Purgatorio siano pù gravi di qualsiasi tormento sulla terra.

Fra le altre cose il venerabile Dionisio il Certosino racconta che mentre dopo la morte di suo padre egli stava pensando che cosa fosse avvenuto del defunto, si era abbandonato a tanti pensieri da dimenticarsi perfino di pregare per lui. Ed ecco che un giorno egli sente una voce che gli diceva: «Perchè ti lasci dominare tanto dalla tua curiosità e vuoi assolutamente sapere dove si trova l'anima di tuo padre? Invece di perderti in questi pensieri, sarebbe meglio che tu pregassi per lui perchè possa essere liberato dalle pene del Purgatorio». Colpito da questo serio avvertimento, Dionisio, come egli stesso afferma, incominciò a pregare con grande zelo e divozione per il defunto, perchè egli doveva soffrire moltissimo. Dopo qualche tempo il Certosino ebbe dal Signore la consolante notizia che suo padre era stato liberato dalle sue pene e godeva delle beatitudini del Cielo.

Una volta Dionisio stava assistendo un novizio morente, che da anni aveva promesso a Dio di recitare due volte al giorno tutto il salterio; ma poi egli aveva spesso trascurato il suo impegno e alla fine lo aveva del tutto dimenticato. All'ora della morte il morente si ricordò di nuovo della sua promessa; ma il ricordo e il fatto che non aveva adempiuto il suo dovere, ora lo riempiva di angoscia e di sgomento. Per sollevare il giovane dal suo stato d'animo, Dionisio promise al morente di voler lui stesso sopperire alla sua promessa in vece sua. Ma lui a causa dei troppi impegni di cura d'anime che lo opprimevano, accadde che anche Dionisio dimenticò il suo impegno. Ed ecco che un giorno il defunto apparve al Certosino e rimproverandolo gli ricordò la sua promessa. Tutte le scuse però del certosino l'apparizione non le riconobbe valide e disse: «Se tu avessi dovuto patire la millesima parte delle pene, che io adesso devo patire in Purgatorio, non diresti nemmeno una parola per scusarti, eppure sarebbe fondata. Invece tu soddisferesti immediatamente all'impegno che ti sei assunto davanti a Dio per me».

Un altro caso che deve aver profondamente impressionato Dionisio, come egli scrisse a una persona molto distinta il dottore in giurisprudenza Giovanni von Loe Wen, prevosto di san Vittore a Xanten era morto il 23 dicembre 1438 e secondo il suo desiderio era stato sepolto nella chiesa dei certosini in Roermond. Egli era stato un uomo molto in vista ma si era lasciato trascinare ad accaparrarsi vari benefici e prebende, invece di accontentarsi di una sola. Tuttavia egli non ha abusato dei ricchi redditi delle prebende, nè se li è goduti per se; ma li ha devoluti a scopi buoni; così per es: ha fatto costruire un nuovo monastero ai monaci regolari di Roemond, a Dventer e a Colonia ha fondato un collegio gerosolimitano. Tuttavia quat'uomo ha evitato soltanto di un pelo la dannazione eterna e fu condannato ad una lunga e dolorosissima pena in Purgatorio. Nel primo anniversario della sua morte fu celebrato un solenne ufficio da morto con s. Messa nella chiesa dei certosini di Roemond. Quando durante il canto delle Lodi si giunse al «Benedictus» Dionisio vide uscire dalla tomba del dr. Giovanni von Loewen delle fiamme di fuoco. Dionisio fece cenno ad un giovane confratello che stava vicino a lui, ma questi non vide niente. Invece Dionisio era tutto scosso e smarrito a questa visione, non sapendo come spiegarsi la cosa e non ne comprendeva il significato.

Il defunto sarà al Purgatorio o all'inferno? Comunque Dionisio continuò l'ufficio pregando per il defunto, che gli era stato molto caro quando era vivo. Al secondo anniversario si ripetè la stessa cosa, tuttavia questa volta le fiamme erano un po' diminuite e mitigate. Al terzo anniversario fu rivelato a Dionisio dalparte di Dio che la liberazione del suo defunto amico dal Purgatorio era vicina.

Ed ecco ancora un ultimo esempio narrato da Dionisio il Certosino. Una pia signora di nome Gertrude aveva la pia e nobile abitudine di offrire ogni giorno tutte le sue opere buone in favore delle povere anime come nell'atto eroico di carità. Venuta alla fine dei suoi giorni, mentre stava per morire, il demonio la investì con una grave tentazione cercando di indurla alla disperazione facendole nascere questi pensieri...: «Perchè sei stata così stupida e ignorante, di privarti durante la tua vita di tutti i tuoi meriti per regalarli agli altri? Aspetta ancora un poco, fino che sarai giunta nell'eternità, e allora vedrai quello che ti succederà quando non potrai presentare all'eterno Giudice alcun merito! Tu sarai dannata, ma io me la riderò e deridendoti e prendendoti in giro e facendoti ingiuria per tutta l'eternità! Perchè hai donato con tanta leggerezza tutti i tuoi meriti? Lo hai fatto solo per superbia e fu questa a farti cieca! Ma questa ti verrà a costare molto cara!»

Così e in altra maniera il demonio tormentava la povera morente, che a causa di queste perfide insinuazioni del demonio era tutta sconvolta e con l'anima sconvolta e smarrita. Ma il Signore a questo punto le venne in aiuto e le disse pieno di bontà: «Perchè sei stata così angosciata, figlia mia carissima? Sappi che l'amore e la misericordia, che tu hai avuto per le povere anime, mi è piaciuta così tanto che io in cambio ti perdono e rimetto tutte le pene che avresti dovuto subire in Purgatorio: e anche il tuo premio in cielo io lo centuplicherò, secondo la mia promessa, di ricompensare al cento per uno coloro che sono generosi per amore del prossimo. Sappi inoltre che tutte le anime che tu hai liberato dal Purgatorio presto ti verranno incontro per accompagnarti nel Regno dei Cieli!» Ed ecco scomparire dall'anima della morente ogni timore, essa era consolata e felice e così serenamente se ne andò incontro a Cristo che veramente le appariva mite e festivo per condurla nella beatitudine eterna!

20) SANTA CATERINA DA GENOVA + IL 15 SETTEMBRE 1510
Ora ci troviamo di fronte a una santa che ci ha fornito un non comune materiale di riflessione sul Purgatorio. Le sue riflessioni sulla purificazione, espiazione e santità delle povere anime non si riferisce ad eventuali visioni, ma ciò che lei stessa durante la sua vita come mistico cammino della dolorosa purificazione, dell'illuminante santificazione, al commovente amore di Dio e all'ardentissima unione ha vissuto sofferto e goduto. Con il suo Trattato sul Purgatorio s. Catterina da Genova essa influì moltissimo sui teologi e sul popolo fedele delle seguenti generazioni e divenne anche una grande benefattrice e amica delle povere anime.

Catterina nacque a Genova nel 1447 dalla nobile Famiglia dei Fieschi (Dogi) dalla quale uscirono Papa Innocenzo IV e Adriano V e vari cardinali e prelati. Catterina dimostrò fino da piccola grande inclinazione alla vita religiosa, ma dovette passare a nozze quando aveva 16 anni motivate da motivi politici da parte dei suoi fratelli maggiori, essa ebbe come sposo Giuliano Adorno, anche lui di nobile schiatta genovese. Le sorelle di Catterina - più anziane di lei - delle quali Limbania suora ebbe una grande parte nella conversione di Catterina furono pure religiose.

Il matrimonio di Catterina con Adorno non fu felice. L'uomo era un facilone e un prodigo irresponsabile, che in breve tempo dilapidò il suo patrimonio e anche quello della sposa, della quale non si curava per niente. Catterina passò i primi cinque anni di matrimonio molto ritirata e in uno sconforto che andava ogni giorno crescendo. Per liberarsi da questo stato d'animo negli anni, che seguirono Catterina cercò una distrazione nella compagnia delle dame del suo rango. Ma questo non migliorò la sua angoscia spirituale e il vuoto della sua anima. Fu così che sua sorella Limbania la indusse a cercare un bravo confessore per fare una confessione generale della sua vita.E fu in confessionale che ella visse la sua «conversione». Improvvisamente un ardentissimo amore verso Dio riempì, il suo cuore e la sua anima immergendola tuttavia in un profondo dolore per aver offeso un Dio così buono. Questa fiamma d'amore purificò Catterina da tutte le terrene inclinazioni, una luce divina illuminò il suo spirito e unì la sua volontà facendola una con quella di Dio. L'esperienza di questa mistica grazia fu il movente decisivo della svolta che prese la sua vita.

Benchè Caterina nella sua vita condotta fino allora non avesse mai commesso colpa grave e giustamente con la grande grazia della conversione e la confessione generale che aveva fatta si sentisse purificata, e benchè non riuscisse a trovare dentro di sè alcuna minima volontà propria che non tutta di Dio, essa volle vivere quattro anni di rigorosa penitenza secondo la «Via Purgativa» della mistica. Proprio questo periodo della sua vita trovò la sua ripercussione nella descrizione delle pene di purgazione delle povere anime che essa fece nel suo libro «Trattato del purgatorio». Crebbe frattanto sempre piú il suo amore verso Dio, cosicchè Caterina poteva scrivere: «Da quando ho incominciato ad amare Dio, questo amore non è piú venuto meno, anzi è sempre continuato a crescere nell'intimo del cuore fino alla sua fine a quel punto al quale doveva giungere secondo il volere e l'eterno consiglio di Lui».

Dalla «via purgativa» la santa andò verso la «via illuminativa» e poi alla «via unitiva»; questo periodo della sua vita andò dal 1477 al 1499 e fu contrassegnato da visioni e da estasi, nelle quali l'intimo fuoco all'amore di Dio si manifestava anche esternamente. In questo tempo però essa uni mirabilmente la sua vita contemplativa anche la vita attiva prodigandosi nell'assistenza degli ammalati e soprattutto dei lebbrosi nell'ospedale di Pammatone a Genova, dapprima nei piú umili servizi e poi nella direzione stessa dell'ospedale. Quando l'amore di Dio ha raggiunto il suo culmine in un'anima ecco che vi si insedia anche la vera Sapienza! E ciò fu particolarmente in Caterina da Genova. Il notaio genovese Ettore Vernazza di nobile famiglia anche lui, veniva spesso da Caterina per trarne edificazione e istruzione. Fu lui infatti poi a raccogliere dai colloqui con Caterina il «Trattato sul Purgatorio». Nella introduzione egli scriveva testualmente: «Mentre questa santa durante la sua vita terrena era immersa nel purgatorio dell'ardente amore di Dio dal quale era tutta consumata e soprattutto veniva purificata da tutto ciò che ancora c'era da purificare per poter comparire davanti agli occhi del suo dolce Amore alla sua dipartita da questa terra, attraverso questa fuoco dell'amore riconobbe nella propria anima in quale stato si trovavano le anime dei fedeli defunti nel luogo della loro purificazione, per essere liberate da tutta la ruggine e dalla macchia del peccato, che non avevano ancora lavato su questa terra. E appena essa stessa nel purgatorio del divino amore divenne una sola cosa con questo divino Amore ed ella si sentì completamente felice con tutto ciò che essa era e in lei operava, esattamente tale conobbe lo stato delle anime che sono in Purgatorio».

La vita di Caterina da Genova fu veramente uno specchio perfetto di ciò che essa ha descritto nel suo «Trattato del Purgatorio» circa le gioie, i dolori delle povere anime, della loro infinita nostalgia di Dio e del loro ardente amore verso Dio. In tal modo Caterina ha potuto dare un profondo sguardo nel purgatorio, perchè essa sperimentò contemporaneamente in sè stessa il purgatorio in tutta la sua dolorosa realtà. Ciò che essa fece scrivere dei dolori e delle gioie delle povere anime non è diretto a soddisfare la curiosità, ma ci mostra un aspetto del tutto essenziale della condizione delle povere anime e cioè di questo unico in sè ed eccezionale dissidio che c'è in esse: da una parte esse sono compenetrate da un ardentissimo amore di Dio, tanto che non possono piú pensare niente per sè stesse, perchè esse sono ormai vicinissime alla beata visione di Dio e vanno incontro con certezza e senza angoscia alla loro piena realizzazione; e d'altra parte esse provano nel contempo un grande dolore per la propria imperfezione, immaturità e inibizione, che non è molto diverso da quello dei dannati. Cosí l'amore nelle povere anime è nel contempo «Fuoco» della beatitudine e «Fuoco» di tormentante dolore. Attraverso questo fuoco dell'amore l'anima che al momento della morte riconciliata con Dio e in grazia santificante, ma non ancora completamente liberata dalle macchie di peccato varca la soglia della morte, viene purificata dopo la morte.

C. Gutberlet, l'editore e colui che completò la «Teologia dogmatica» di J.B.Heinrich normalmente molto critico per quanto riguarda visioni del purgatorio e apparizioni delle povere anime e dei santi dice: «Non si può assolutamente annoverare fra queste fantastiche combinazioni, ciò che Caterina da Genova ha scritto del Purgatorio. La santa ha gettato uno sguardo profondo nel Purgatorio avendo essa provato in sè stessa contemporaneamente il fuoco in tutta la sua tremenda realtà e avendo sopportato con grande gioia le pene piú dolorose..... » Lei stessa afferma di aver avuto una scintilla di visione nella pena delle povere anime per la grazia di Dio, senza la quale nessuna intelligenza la potrebbe comprendere.

Ma già lo straordinario favore da parte di Dio che ebbe santa Caterina da Genova, il suo ardente amore di Dio e la sua vita meravigliosa saziata di dolori, da lei vissuta le permettono di apprezzare giustamente lo stato d'animo delle povere anime. Sembra che Dio abbia scelto questa santa apposta perchè ne venisse data una descrizione chiara e concreta del Purgatorio. San Francesco di Sales ha basato tutte le sue belle e confortanti considerazioni sul purgatorio, su quanto scrisse santa Caterina da Genova e spesso ripete quasi alla lettera le sue parole. Il suo amico vescovo J.P. Caamus afferma che san Francesco di Sales raccomandava particolarmente e con grande premura la lettura del libro di santa Caterina da Genova sul purgatorio. E come san Francesco di Sales anche Lodovico da Granada e Giuseppe Goerres pensano la stessa cosa del libro di Caterina.

Nella sua introduzione alla vita di Enrico Siuso G.Goerres parla di Caterina da Genova come di un'anima, che nella sua vita ha vissuto quella purificazione, che essa ha descritto con vivo calore nel suo «Trattato del Purgatorio».

Non molto tempo dopo la morte di suo marito di cui ella riuscí ad ottenere la conversione, lei decise di lasciare la direzione e l'amministrazione del grande ospedale Pammatone a Genova. Essa sentiva che le sue forze andavano sempre scemando a causa delle sue molte fatiche e soprattutto a causa del fuoco di amore che la consumava.

Già verso il 1500 Caterina fu colpita da una malattia misteriosa, che secondo il giudizio dei medici piú competenti doveva avere solo delle cause soprannaturali; ancora una volta era come la sofferenza delle pene del purgatorio delle povere anime; stati che cambiavano da fuoco a gelo con infinita sensibilità e subita insensibilità; attimi nei quali essa si sentiva vicina a morire e poi ancora attimi nei quali essa sembrava completamente sana.

Nei suoi due ultimi anni, di vita Caterina rimase sempre costretta a letto. Il 15 settembre 1510, al momento in cui era solita ricevere la santa Comunione ella disse improvvisamente: «Signore, nelle tue mani raccomando il mio spirito»! Cosí essa si addormentò dolcemente e in pace ed ora eternamente presso il suo «Dolce Aurore». Il purgatorio era finito per lei, incominciava la beatitudine del Cielo nella beata visione nel contemplante amore del Dio Uno e Trino!

Anche se i circostanti non sentirono queste parole, videro comunque con enorme spavento come la mano della morta teneva stretta la mano di Stefania. La gente stava li senza sapere cosa fare, finchè venne il confessore della defunta il quale le ordinò in virtú di santa obbedienza di lasciare libera la mano di Stefania. La defunta lasciò immediatamente la mano che aveva tenuto stretta e ritornò al suo posto dura e pesante come il piombo. Naturalmente la beata eseguí con la massima premura e con grande calore quanto le aveva chiesto la defunta amica e dopo qualche tempo essa ebbe la gioia di sapere che ora era liberata dalle sue pene ed era salita all'eterna gloria del Cielo.

Fonte: www.preghiereagesuemaria.it