Il Purgatorio

Capitolo XIV:L'immensità dei meriti di Maria

a) - LA SUA UMILE DEDIZIONE A Dio.

Spesso si trova chi fa questa stolta e irrispettosa difficoltà riguardo a Maria SS., e i protestanti ne sono purtroppo i corifei: « Se la Vergine è stata eletta da Dio a Madre del Verbo Umanato, e per questo è stata riempita di grazie, se in vita godeva della visione beatifica, che la rendeva impeccabile, quali sono i suoi meriti personali, che la rendono capace di una gloria superiore a quella di tutti gli Spiriti beati, e di una grandezza e bellezza superiore a tutto il creato? ».

La difficoltà sembra grave, eppure è stolta. La risposta più sintetica e sublime alla difficoltà, l'ha data Maria SS., rivelandosi a Roma alle Tre Fontane, ed in Francia ad un'anima privilegiata: « Io sono colei che è nella SS. Trinità ».

Essa è perciò nei disegni infiniti di Dio, che sono in Lui tutti in atto e presenti, com'è tutta in atto la sua infinita natura e l'adorabile Trinità delle Persone.

Come per i previsti meriti del Redentore Essa fu immacolata, così per i previsti meriti della corrispondenza di Maria alla grazia, e per i previsti meriti della sua umiltà, e della sua obbedienza a Dio, Essa fu riempita di grazia, e per la prevista missione di Madre del Redentore e degli uomini Essa raccolse i tesori della Redenzione, diremmo, come un serbatoio (già capace per cubazione di profondità) raccoglie le acque di un fiume, per distribuirle alle terre riarse ed alle creature assetate.

Dio previde anche la libera dedizione di Maria a Lui nell'umiltà e nell'obbedienza, perché non la colmò di grazie senza il libero consenso di Lei, e la libertà dell'anima nell'operare il bene, è il fondamento del merito. Questo è tanto vero che, prima d'incarnarsi, il Verbo di Dio mandò l'Arcangelo S. Gabriele per domandarle il suo consenso. Quel consenso non fu strappato, diremmo, in forza di una imposizione, ma fu dato dopo un trepidante turbamento di Maria, e dopo un ragionamento che testimoniano della sua libera dedizione a Dio, tra l'esitazione dell'umiltà che non sapeva comprendere le lodi dell'Arcangelo, e la luce della manifesta Volontà divina, che la rese sublimemente obbediente, con libera ed umile volontà: Ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola.

Questo atteggiamento di Maria fu un merito grandissimo, incomparabile, proprio per le ombre di umiltà che l'avvolsero e per la luminosità del mistero che le si annunziava e che esigette da Lei un pieno abbandono in Dio, una piena adorazione della Divina Volontà, una piena offerta non alla propria glorificazione, ma allo sviluppo in Lei del disegno di Dio, che aveva certamente misteriose prospettive di pene.

Per la Vergine purissima, che era già sposata a S. Giuseppe per volere divino, al quale si era sottoposta già con un fiat di pieno e meritevole abbandono in Dio, l'essere e apparire madre senza concorso di uomo, e dell'unico uomo al quale era sposata, era già una misteriosa prospettiva di angosciose pene, in un mondo carnale che era tanto lontano dal capire una concezione realizzata per virtù dello Spirito Santo. Essa, infatti, non ne parlò neppure a S. Giuseppe, che conosceva santissimo e purissimo, e si rimise completamente a Dio.

Chi oserebbe dire che questo non fu un merito grandissimo in Lei?

Dio previde i meriti del suo Figliolo Incarnato e, scegliendola come sua madre, la rese immacolata. Era logico che Dio scegliesse una Madre Immacolata al suo Verbo, generato ab aeterno nella purissima generazione del suo infinito intelletto. Dio la scelse e la elesse col disegno di non forzare la libertà di Lei; previde l'umiltà della sua creatura, previde il merito della sua incondizionata obbedienza e dedizione alla sua Volontà, e la riempì di grazie. La Volontà in Dio è l'Eterno Amore, è lo Spirito Santo, e poiché Maria con quel mirabile consenso di obbedienza, si donò alla Volontà Eterna di Dio, l'attrasse in Lei, e fu feconda del Verbo di Dio Umanato, per opera dello Spirito Santo.

E’ un mistero grandissimo, senza dubbio, ma porta la nota di tutti i misteri divini: la verità e la logica della verità.

b) - LA VITA DI UNIONE DI MARIA SS. COL VERBOO DI Dio, PER LA SUA MATERNITÀ.

Chi può dire che cosa si produsse in Maria nell'atto dell'Incamazione del Verbo? Al contatto dell'Eterno, la sua umiltà divenne un prodigio di amoroso annientamento; per la divina fecondazione dello Spirito Santo, la sua vita era tutta dedicata al Verbo umanato, perché da Lei aveva preso carne, ed Essa gli doveva donare la vita con la propria vita.

Nelle comuni maternità, le madri donano la vita ai figli che portano nel seno, seguendo il processo naturale della generazione, quasi senza accorgersene, e non astraendosi dalle comuni occupazioni della loro vita. Se si eccettuano le saltuarie percezioni della vita che in loro cresce, e la gioia di sentirne i primi movimenti e di constatarne lo sviluppo nel loro fisico, le madri cooperano alla generazione con la loro vita senza una volontà positiva, perché seguono il corso naturale dello sviluppo della vita del figlio. Questo sviluppo non dipende più da loro, ma, diremmo, dalla natura, o meglio delle provvidenziali leggi della generazione. La loro libera volontà fu solo nell'accettare la maternità, e la loro cooperazione allo sviluppo della maternità sta solo nelle prudenti precauzioni suggerite dai medici per non nuocere al suo sviluppo.

In Maria non fu cosi: Essa non donava solo la vita al suo Figliolo, ma donandola, viveva della vita di Lui che era vero Dio, quindi viveva lodando Dio in ogni momento della propria vita, e donandosi a Lui in un continuo atto di amorosa dedizione. Continuava in Lei, in una fiamma di amore ed in un ineffabile sentimento di umiltà, l'Ecce ancilla Domini, detto all'Arcangelo nell’Annunciazione. Era quindi in Lei un meritare continuo, che accresceva in Lei la pienezza della grazia. Il suo fiat non era un semplice consenso, era come un seme meraviglioso che si sviluppava in mille fiori di umiltà e di amore. Forse per questo la Chiesa applica a Lei analogie di piante che si sviluppano, e di aromi che effondono il loro profumo; la paragona al cedro del Libano, al cipresso, alla palma, all'ulivo, alla rosa, al cinnamomo, al balsamo, perché in realtà la sua vita materna fu tutta una fioritura di amore e di virtù, che accrescevano i suoi meriti in modo incalcolabile.

Il figlio poi vive della vita della madre, e rifonde in lei la propria vita per accrescerla. La circolazione del sangue, il respiro, la vita materna, sono una continua dedizione al figlio, e la vita del figlio è un continuo rifondersi nella madre. Ora il Verbo Umanato era vero Dio e la vita di Maria passando in Lui nella circolazione del sangue, era in Lui divina, e ritornava a Lei come riflusso divino, che dava alla vita di Lei una glorificazione amorosa di Dio, partecipandole le armonie della eterna glorificazione che Egli, Verbo Umanato dona al Padre. Non era una partecipazione naturale ma divina, e perciò Maria si accendeva tutta di amore, glorificando Dio con tutta la propria vita. Essa perciò espresse a S. Elisabetta questa mirabile vita in quelle parole sempre dense di significato mirabile: L'anima mia glorifica il Signore, esulta il mio spirito in Dio mio Salvatore.

L'Infinito si effondeva in Maria, e Maria viveva in ogni momento del suo meritevole fiat, donando all'Infinito, fattosi uomo in Lei, la propria vita. La pienezza della grazia in Lei si accresceva meravigliosamente, e per quanto la grazia è sempre gratuita, pure in Lei si accresceva continuamente per il merito o in proporzione del merito della sua dedizione al Verbo Divino incarnato in Lei.

Del resto anche in noi è teologicamente certo che alla nostra meritoria corrispondenza alla grazia corrisponde un aumento di grazia. La corrispondenza è un atto di amore, e la grazia è un'effusione di amore divino. Sarebbe assurdo il pensare che Dio non risponda all'amore della sua creatura.

I meriti di Maria furono perciò incalcolabili, come fu incalcolabile la grazia, che in Lei ha una certa infinità. Come possono i protestanti dire che Maria fu una donna come le altre? E’ un'eresia stolta quanto maligna, che non può sorgere che dallo spirito diabolico.

C) - I MERITI DI MARIA NELLA SUA VITA TERRENAA.

Se si riguarda la vita di Maria nella sua dimora sulla terra, i suoi meriti appaiono anch’essi incalcolabili. La sua umiltà la fece rimanere nascosta, ma i pochissimi accenni dell'Evangelo sono sufficienti a manifestarcelo.

E’ tradizione che Maria a tre anni si consacrò a Dio nel Tempio, e gli consacrò la propria verginità. Allora, si può dire, cominciò l'anima sua a cantare il Magnificat del suo amore a Dio. L'anima sua glorificava il Signore, ed il suo Cuore immacolato pregando ardentemente per il compimento della Redenzione dell'uomo, esultava in Dio Salvatore che doveva venire, affrettandone la venuta, e sospirando al compimento di tutte le promesse divine. In Lei tutte le figure e le profezie dell'Antico Testamento si concentrarono come un unico sospiro del suo Cuore nell'implorare la Redenzione: Esultò il suo spirito in Dio Salvatore.

Era un'umile bimba, e dal Santo dei Santi il Signore la guardò, riempiendo l'anima sua di quella beatitudine che viene dall’ineffabile amore di Dio nella preghiera. Questa beatitudine interna rifulgeva in Lei come una luce di bellezza e di grazia, che dovette fin d'allora farla riguardare beata. Fu il primo canto alla sua beatitudine, la prima nota che si sarebbe sviluppata fra tutte le genti come orchestra amorosa di lode, fino all'armonia del suo trionfo nel Paradiso, in anima e corpo: Guardò la piccolezza della sua serva, e perciò da questo momento mi chiameranno beata tutte le generazioni. La vita di Maria nel Tempio fu tutta un sospiro di amore, fu tutta un'umile dedizione a Dio, e perciò fu una ricchezza di meriti.

Sposò S. Giuseppe per dedizione al disegno divino, ma lo sposò guardando Dio non l'uomo, certamente, e potette dire all'Angelo: Io non conosco uomo. Non guardò S. Giuseppe come uomo ma come una purissima espressione della Divina Volontà. Disse il fiat all'Arcangelo che le annunziò il mirabile mistero dell'Incarnazione del Verbo, e nel suo fiat c'era il merito ineffabile dell'obbedienza alla Divina Volontà.

Visse nascosta in Nazaret, e compì tutti gli uffici di casa per puro amore di Dio, glorificandolo nell'umiltà della vita domestica.

Era tutta una lode di Dio: Magnificat anima mea Dominum, in una condizione di umiltà silenziosa, che le attirava lo sguardo di Dio: Respexit humilitatem ancellae suae. Era ancella di Dio nell'essere ancella della sua casa, nella beatitudine della piena e pacifica unione alla Divina Volontà. Ogni passo della sua vita ammirabile fu una ricchezza di meriti, perciò ogni passo fu da Lei compito glorificando Dio: Magnificat anima mea Dominum!

Ebbe fede nell'annunzio dell'Arcangelo, tanta fede meritoria, da fare esclamare a S. Elisabetta, piena anch'essa di Spirito Santo: Beata sei tu che hai creduto. Una fede tanto più grande e meritoria, quanto più contrastava con la sua umiltà, che la turbò per la lode con la quale l'Arcangelo la salutò. Accettò per questa fede tutte le disposizioni della Divina Volontà, e, per questa fede, in Lei si compirono tutte le meraviglie divine che la fecero grande. La pena del suo viaggio a Betlemme, fatto per obbedire a Dio, obbedendo all'editto di Cesare, fu in Lei un merito di grande sacrificio, dato che era prossima al parto mirabile. Maria accettò la povertà e lo squallore della grotta di Betlemme, con lo stesso slancio di unione alla Divina Volontà, e fu un'immolazione per l'anima sua, che sapeva di portare nel seno il Re della gloria. La sua fuga in Egitto, la sua dimora in Nazaret, il distacco dal Figlio, quando cominciò la sua missione, dopo il dolorose, distacco del suo smarrimento, nel viaggio al Tempio, che la fecero chiamare Addolorata, furono in Maria una preziosa collana di meriti, che le accrebbero la grazia in una maniera ineffabile.

La sua fede in Gesù ebbe un novello sprazzo di luce alle nozze di Cana, quando amorosamente lo costrinse a manifestarsi col primo miracolo, per la premurosa carità che Essa aveva per gli sposi indigenti, come l'aveva avuta per S. Elisabetta, recandosi da lei con fretta, quando seppe che aveva bisogno di aiuto.

Questi episodi, accennati appena dall'Evangelo, ci mostrano quanto doveva essere premurosa la sua carità verso il prossimo, e quanti i meriti della sua carità.

Chi poi può approfondire la ricchezza dei suoi meriti nella Passione del suo Figliolo, da Lei donato come vittima di Redenzione, tra gli strazi del suo Cuore, trapassato dall'acuta spada? E la sua fede non fu somma nell’annunciazione come sul Calvario? Nell’annunciazione il messaggio dell'Arcangelo contrastava con l'umiltà del suo Cuore Immacolato, sul Calvario la crocifissione del Figlio contrastava terribilmente con la divina Maestà di Lui e con la sua divina potenza, tanto da provocare gl'insulti degli Scribi, dei Farisei e dei Sacerdoti: « Se è Figlio di Dio, discenda dalla Croce, e crederemo in Lui ». « Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso ». Eppure Maria credette alla parola dell'Arcangelo col suo fiat di amorosa dedizione, e credette al disegno della Redenzione nel cruento sacrificio del Calvario, col suo fiat di dolorosissima offerta. Cantò anche sul Calvario il suo Magnificat, tra le note singhiozzanti del suo Cuore materno, in armonia col suo Figliolo, come lo aveva cantato con esultante umiltà in Hebron, in armonia con S. Elisabetta.

L'armonia mirabile di questi due cantici, variazione musicale, direi, in tono maggiore e in tono minore, del cantico dell'anima sua, rivelano ancora una volta la grandezza dei meriti di Maria. E’ necessario per noi seguire quest'ammirabile armonia di amore, per rimanerne estasiati, più di quello che non lo siamo in un'orchestra di dolcissimi archi, di esultanti trombe, e di trionfanti timballi.

d) - LE LODI DI S. ELISABETTA A MARIA, E LA RRISPOSTA DI MARIA. ARMONIA DI DUE CORI DI AMORE.

S. Elisabetta al saluto di Maria, ripiena di Spirito Santo esclamò: Donde a me tanto onore che la Madre del mio Signore venga a me? Era come la nota squillante di lode e di riconoscenza, alla quale replicò Maria con la nota di lode e di riconoscenza a Dio: L'anima mia glorifica il Signore. S. Elisabetta constatò l'esultanza del bimbo che aveva nel seno, al suono santificante della voce del saluto di Maria, e Maria attribuì quell'esultanza al Salvatore Divino che aveva nel seno, e che, vivendo di Lei e in Lei, era passato nell'esultanza del suo materno cuore, nel bimbo, santificandolo: Esultò il mio spirito in Dio mio Salvatore.

Il saluto di Maria a S. Elisabetta fu certamente una parola di benedizione e di congratulazione: Sii benedetta da Dio, col figlio che porti nel seno, al quale saluto S. Elisabetta, a gran voce, nell'esultanza del mistero che si era realizzato in Maria, esclamò: Benedetta sei tu tra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. Riconobbe, per lume dello Spirito Santo, il Verbo divino fatto carne in Maria, e la chiamò: Madre del mio Signore; constatò il frutto di esultante santificazione del Figlio suo alla voce di benedizione del saluto di Maria, e riconobbe che la grandezza di Lei era frutto della sua fede: Beata sei tu che hai creduto, poiché si realizzeranno in te le cose dette a te dal Signore. Era come un peana di glorificazione, al quale rispose il canto dell’umiltà di Maria: Dio guardò la piccolezza della sua serva e perciò da questo momento mi chiameranno beata tutte le genti.

S. Elisabetta, voce magna, a gran voce, come chi esulta in una entusiasmante grandezza, esaltò Maria, e Maria esaltò Dio: Mi ha fatta grande Colui che è potente, e quel che vedi in me è grandezza della potenza di Dio, e la santificazione di tuo Figlio, che avverti nell'esultanza sua nel tuo seno, è frutto della grazia che santifica, perché il nome di Dio è santo, e nel suo nome si effonde la santità. Benedetta sei tu fra le donne disse S. Elisabetta a Maria, e Maria attribuì questa benedizione alla misericordia di Dio che sarebbe passata per Lei di generazione in generazione su quelli che temono Dio, ed hanno fede.

C'è in queste parole come una sintesi di tutte le grazie che per Maria si sarebbero effuse sulla terra nei secoli, e che l'avrebbero fatta acclamare benedetta fra tutte le donne. S. Elisabetta esaltò la fede di Maria: Beata sei tu che hai creduto, perché si realizzeranno in te le cose dette a te dal Signore.

L'Arcangelo in nome di Dio annunziò il regno immortale del Figlio che doveva nascere da Lei, e Maria, nella sua umiltà profondissima, attribuì solo a Dio la vittoriosa regalità del Figlio suo: Operò nella potenza del suo braccio, disperse i superbi nei pensieri del loro cuore, depose i potenti dalla loro sede di orgoglio, ed esaltò gli umili. Riempi di beni quelli che avevano fame di Dio, e lasciò vuoti quelli che si credevano ricchi di beni. E Maria soggiunse che il regno del suo Figliolo sarebbe stato il compimento delle promesse fatte ai Patriarchi, ad Abramo ed alla sua discendenza spirituale nei secoli.

Il cantico di Maria innanzi a S. Elisabetta fu tutto un esaltamento del Signore nello slancio amoroso del suo Cuore Immacolato, sintesi della sua vita tutta di Dio e tutta per Dio, e quindi colma di meriti.

C) - IL MAGNIFICAT DEL CALVARIO.

Sul Calvario Maria cantò il suo cantico nel profondo del suo Cuore trapassato dal dolore più acerbo, in armonia con l'immolazione del suo Figliolo, mirabile canto di lode e di riparazione a Dio nella redenzione del genere umano. Essa aveva donato al Verbo di Dio, fatto carne, quel corpo divino come vittima di amore; era la somma glorificazione di Dio nel suo sacrificio, era il sommo atto di amore di Maria, a piè della Croce, che riparava il peccato di Eva a piè dell'albero fatale. Eva vide il frutto dell'albero bello di aspetto e dilettevole al gusto, Maria vide il suo frutto divino tutto sfigurato e amarissimo per il suo materno Cuore, e cantò con Lui che s'immolava stillando sangue, cantò stillando lacrime amare: L'anima mia glorifica il Signore.

Sul Calvario si compiva la Redenzione, e si compivano i meriti del Redentore, per il cui « intuito » Essa era stata sottratta alla colpa originale, ed era stata concepita Immacolata. Era il canto doloroso dell'amore del Redentore, che coglieva il primo frutto del suo sacrificio, invocando il perdono per i crocifissori, perdono che doveva passare di generazione in generazione, come onda di misericordia, salvando prima di tutti il ladro che era crocifisso alla sua destra. E Maria, gemendo, esultava nel suo Dio Salvatore, ringraziandolo con la stessa ricchezza del suo Sangue e con l'effluvio doloroso delle proprie lacrime. Dio guardava l’umiliazione del suo Figliolo umanato, e per il suo sacrificio perdonava ai peccatori, e Gesù guardava la Madre sua nella profonda umiliazione del suo dolore, madre del condannato alla più infame ed umiliante morte innanzi agli uomini, e la faceva madre di misericordia per i secoli, che l'avrebbero acclamata beata, per la sua materna bontà.

E Maria cantava gemendo: Egli guarda la mia piccolezza, e per Lui immolato mi chiameranno beata i figli dei secoli che mi ha donati. Gesù la fece grande allora, e il novello fiat di Maria l'arricchì d'incomparabile santità, perché l'arricchì di meriti infiniti. Perciò Maria cantò esultando la potenza del suo Figliolo che la faceva grande, e la santità sua che l'arricchiva di grazie per tutta l'umanità, per attrarle la misericordia di Dio: Ha fatto in me cose grandi colui che è potente, il cui nome è santo, e la sua misericordia passa da generazione in generazione su quelli che lo temono.

Sul Calvario Gesù era ridotto come un verme, nudo e sanguinante nella sua immolazione, vinto ed impotente nella sua crocifissa immobilità, fino a raccogliere lo scherno dei suoi crocifissori; ma proprio allora Egli era il potente che vinceva, il Re che abbatteva il regno ed i regni di satana, ed esaltava Maria come Regina.

Aveva dato un grido di spasimo, perché era ridotto come un abbandonato da Dio, ma per quell'abbandono aveva riconciliato l'uomo con Dio, che per il peccato lo aveva abbandonato, ed aveva arricchito l’umanità, richiamandola a Sé per donarla al Signore, con lo spasimo della sua ardente sete del corpo e del Cuore suo. Aveva compiuta la sua opera con la bevanda del fiele e dell'aceto, che compiva le profezie e suggellava la misericordia sua, quasi suggendo dalla piaga purulenta dell'uomo caduto le ultime stille della sua amarezza e della sua asprezza, e rimettendo l'anima sua nelle mani del Padre, per rimettervi l'anima di tutti gli uomini redenti. Su di essi, per eccesso di misericordia, effuse, dopo morto, le ultime stille di sangue del suo Cuore, trapassato dalla lancia, e l'acqua del suo pericardio, che santificava in perpetuo l'acqua che li avrebbe rigenerati.

Maria visse, nel suo immenso dolore questo mistero di amore, e con Gesù che inneggiava a Dio immolandosi, cantò, lacrimando, la potenza di quelle braccia crocifisse, che nell'estrema umiliazione del dolore, vincevano l'orgogliosa tracotanza del peccato, e, lacrimando, esaltava quei piedi trapassati, che lo innalzavano come su di un trono di spasimi, esaltava la potenza del suo regno di amore che, nell'umiliazione abbatteva i troni dei potenti del mondo, opposti alla regale sovranità di Dio: Operò nella potenza del suo braccio, disperse i superbi nei disegni della loro mente orgogliosa, depose i potenti dal loro trono, ed esaltò gli umili.

Maria magnificò la ricchezza della fonte che si apriva dal Cuore squarciato del Figlio suo, esaltando nel Sangue e nell'acqua che ne scaturì, l'Eucaristia, sazietà degli affamati di Dio, ed il Battesimo, purificazione che generava la Chiesa moltiplicando i figli suoi, nella unità del suo Corpo mistico, lasciando nel vuoto della loro miseria quelli che si credevano ricchi di sapienza e di civiltà, il mondo, misera e turbolenta moltitudine di perdizione: Satollò di beni quelli che avevano fame di giustizia, e lasciò vuoti quelli che si credevano ricchi.

Sulla Croce si compì il mistero della misericordia di Dio preannunziato nell'Eden; dalla Croce Gesù formò il suo popolo eletto, il vero Israele, per la Croce Gesù compì le promesse latte ad Abramo ed alla sua discendenza nei secoli, discendenza di grazia e di amorosa dedizione a Dio: la Chiesa Cattolica. Israele ed Abramo erano una figura, un'ombra profetica del Redentore, e sul Calvario l'ombra diventò realtà ed amore: un albero col frutto sanguinante, che era il secondo Adamo, Gesù. Una donna che aveva colto il frutto dal Cielo, per opera dello Spirito Santo, e lo aveva vivificato con la sua vita materna. Il frutto era maturato sul Calvario, e Maria l'aveva colto nel suo immenso dolore. Era Maria la novella Eva; Essa, nel dolore divenne vera madre di tutti i viventi in Gesù e per Gesù, espiando il diletto della prima Eva, che cadde perché tentata dalla bellezza e dal pregustato sapore del frutto. Sul Calvario c'era anche il serpente infernale, sconfitto dal sacrificio di Gesù, schiacciato nel suo capo orgoglioso dall'umiltà di Maria. Per questo Maria, nel suo cuore addolorato chiuse il suo intimo canto lacrimoso, come lo chiuse esultando innanzi a S. Elisabetta, quando il mistero di amore di un Dio che si donava al mondo, era cominciato nel suo immacolato seno: Ricevette Israele suo figliolo e suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come l'aveva annunziata ai Patriarchi, ad Abramo ed alla sua discendenza nei secoli.

Innanzi a questo mistero di dedizione e di amorosa immolazione, chi non crede ai meriti ineffabili di Maria? S. Elisabetta la elogiò perché aveva creduto all'Arcangelo, e la sua fede fu un grande merito. Ma sul Calvario la sua fede fu di un merito maggiore, perché Essa credette e sperò contro ogni speranza umana, più che Abramo, e tra i tormenti del suo Figliolo e lo spasimo della sua morte, fu l'unica creatura che credette al suo regno ed alla sua resurrezione. Lo vide risorto, lo vide ascendere al Cielo, e l'amor suo lo traeva appresso di Lui in un desiderio immenso, ma accettò di rimanere sulla terra ancora lunghi anni, per assistere la Chiesa nascente. Se per noi la morte di una persona cara lascia deserta la vita, per Maria il rimanere sulla terra fu un'immolazione di amore immensamente meritoria.

Con la sua preghiera attrasse sulla Chiesa lo Spirito Santo; con la sua preghiera e la sua materna assistenza sostenne gli Apostoli nella loro missione. E giunse a tarda età, circa 74 anni, non invecchiata ma spiritualizzata dal suo amore, spiccando il suo volo al Paradiso in anima e corpo, assunta dall'amore del suo Figliolo.