Il Purgatorio

Capitolo II: L'anima raggiunge la vita eterna...

L'anima purgante, uscendo dal corpo, tende a Dio, ma si trova come uno che è trascinato da una corrente, e non può raggiungere la riva. L'anima si slancia verso Dio, ma le sue imperfezioni sono come una corrente che la trascina lontana. Nelle illusioni della vita terrena, essa si era già messa in una corrente che la allontanava dal divino amore; ma quando esce dal corpo, le illusioni del mondo diventano vortice, per i peccati che hanno macchiata l'anima, e perciò essa si trova trascinata lontana da Dio nell'atto stesso che tende a Dio con tutta la forza dell'amore che sente fortissimo, per lo stato di grazia nel quale si trova. Essa è fuori del corpo, ma porta con sé la responsabilità delle sue miserie quasi corpo di morte che la segue: opera enim illorum sequuntur illos (le loro opere li seguono). E’ una espressione profondissima, tanto per le opere buone alle quali si riferisce, quanto per le opere cattive, che seguono l'anima come le opere buone. L'anima purgante è come uno che è costretto a gettarsi a nuoto in una corrente turbinosa, vestito con indumenti pesanti, che lo portano giù, quando egli ha bisogno di stare a galla, e vi tende con tutte le sue forze per proseguire il suo nuoto verso la pacifica e fiorita riva.

Nella vita, il mistero del dolore

L'anima nella vita terrena ha avuto sempre delle prevenzioni verso la bontà di Dio, e a volte addirittura delle recriminazioni, di fronte, specialmente, ai misteri del dolore, della provvidenza, del male, dell'umana libertà ecc.; forse queste recriminazioni le abbiamo avute o le abbiamo un poco tutti. Sì, cerchiamo di ricacciarle come tentazioni, cerchiamo, con sforzo però, di fare atti contrari, o qualche sparuto e debole atto di fede, immergendoci non nella fulgida luce di Dio, ma nelle oscure tenebre della mente che non vuol ragionare o del cuore che non sa amare con tenerezza quello che le appare asprezza e severità. L'anima nostra più che amare il Signore, si sforza di non essergli contraria, e di non naufragare nell'incredulità, nelle oscure onde della fatalità o del cieco destino.

Appena fuori del corpo, l'anima si trova innanzi alla bontà infinita di Dio, scorge le proprie miserie e le proprie recriminazioni nella luce della bontà divina, benché non contempli e non possa ancora contemplare quell'oceano di amore, perché ancora incapace di immergervisi in una felicità incomparabile, e rimane, per darne un pallido esempio, come uno che ha trattato da villano un Re travestito, o un Cardinale che passa come un semplice inserviente di sacrestia, o peggio come un ladro travestito da prete. Così avvenne a quei poliziotti che a Venezia, di notte, fermarono S. Pio X, che, vestito da semplice Sacerdote, portava sulle sue spalle un materasso per una partoriente poverissima. « Ehi, dissero i poliziotti da lontano, ehi, ladraccio, che scegli la notte per i tuoi furti, dove hai preso questo materasso? Fermati, mettilo giù, porgi le mani alle manette ». E si avvicinarono per acciuffarlo, ma riconobbero in quell'angelico volto il santo Patriarca, e chi può dire la confusione dalla quale furono presi? E’ un paragone misero di fronte alla sorpresa dell'anima che ha il primo incontro col Signore, infinità bontà ed infinito amore. Anche non vedendolo faccia a faccia, perché non ancora glorificata, essa sente, nella pace dello stato di grazia nel quale sta, la bontà di Dio.

Anzi v'è di più: l'anima nella luce di Dio, del quale avverte le perfezioni e la grandezza, si trova tutta macchiata e disadorna, e prova tale rossore, da desiderare solo di appartarsi dal Signore per purificarsi.

Vi sarà successo di sognare di trovarvi per la strada in camicia o nudi addirittura. Quale confusione! Voi cercavate di nascondervi in qualche portone, vi stringevate la camicia per tentare di coprirvi, vi sembrava d'incontrare persone sul vostro passaggio che vi davano un senso di sgomento. Respiravate solo all'atto del destarvi, esclamando, constatando che era un sogno: Grazie, Signore, che non è vero!... Ma l'anima che appare innanzi a Dio, e si vede tutta macchiata, non sogna, si risveglia piuttosto dai sogni orgogliosi della propria giustizia fatti in vita, giudicandosi con una superficialità, con una benevolenza che appare fallace nella luce divina.

In un ricevimento, una signorina avvertiva uno spasimo nei fianchi, e non dava segno di soffrirne, né portava la mano là dove sentiva rodersi, perché stava in un salotto elegantissimo. Dopo un poco di tempo fu tale lo spasimo, che domandò di appartarsi in un'altra stanza, e slacciandosi, con suo orrore le saltò dal busto un animaletto che la rodeva. L'anima innanzi alla luce di Dio vede tutto l'orrore di quelle azioni che in vita le sembravano indifferenti, e dalla confusione e dal dolore che la prende, si accorge che le sue mancanze non erano cose da nulla, ma... roditori della coscienza, dai quali anela solo di liberarsi, appartandosi fuori della festa del Cielo, nel Purgatorio.

Questo appartarsi dalla festa del Cielo, cagiona un particolare spasimo, per lo stesso stato di grazia nel quale l'anima si trova. Sembrerebbe un paradosso, eppure è così.

Il dannato e l'anima purgante

Il dannato, nel passaggio alla vita eterna, si trova in uno stato di estrema miseria, e per la perdita della grazia di Dio, non solo non ha slanci di amore verso di Lui, come li ha l'anima purgante, ma l'odia e ne rifugge. E’ terribile, senza dubbio, ma è uno stato di esistenza che non può mutarsi, e che l'anima dannata non vuol mutare, anche se lo potesse, anche se la misericordia divina lo volesse. L'anima dannata è oramai nello stato di dannazione, ha anche una libertà in quello stato, ed è la libertà di odiare e di far male, pena spaventosa dell'abuso della libertà fatto in vita, colpa tutta sua, non dell'inesorabilità della giustizia di Dio.

Come un impulso di moto continua per quel fenomeno fisico che si chiama inerzia, senza ulteriore spinta, così le colpe e le degradazioni della vita del dannato, continuano per inerzia nell'Inferno, senza speranza di mutamento, perché diventano lo stato del dannato, come nella vita terrena erano lo stato del peccatore.

L'anima purgante, fuori del corpo non è in uno stato, ma è ancora pellegrina, perché è in grazia, tende a Dio con immenso amore, e non può ancora raggiungerlo. Per questo da tutte le rivelazioni delle anime purganti, si rileva che la loro purificazione è computata sul nostro tempo: dieci, venti, cento anni. Il dannato è come un corpo pesante che cade nell'eterno abisso e vi sta, vi rimane; l'anima purgante è come un razzo che tende ancora a salire, ma che rimane nell'atmosfera, finché non funziona lo scoppio del razzo vettore che lo spinge in alto. Essa non è capace che di dolore, perché il dolore soltanto può riparare le sue colpe, ed i suoi slanci di amore diventano fuoco urente, pena e rammarico di amore, che le fa riguardare come grazia il potersi purificare.

Il morto è morto, e non aspira, per così dire, alla vita, ma alla putredine. Questo è il dannato. L'infermo invece aspira alla salute, si sottopone a tormentose cure, e le soffre volentieri, pur lamentandosi, ed invoca aiuto per essere alleviato. Questa è l'anima purgante; è un'inferma. Le sue medicine tormentose sono la purificazione nel fuoco, nell'angoscia della lontananza da Dio e nei singoli tormenti per ogni particolare colpa. Per un infermo nel corpo, sono di sollievo gli anestetici, i calmanti, e le amorose cure di chi l'assiste; per l'anima purgante i suffragi di preghiere e di sacrifici che per essa si offrono, sono il suo sollievo.