Il Purgatorio

Natuzza Evolo e le anime del Purgatorio

15/10/2017    12623     Altre testimonianze sul Purgatorio    Natuzza Evolo  Testimonianza 
Anche due nipoti del parroco di Paravati, don Clemente, di nome Maria Domenica e Rosa Silipo, hanno affidato a Marinelli la loro testimonianza sulle trance della Evolo tra il 1944 e il 1945. (La prima fra l’altro venne incaricata dallo zio prete di rispondere alle tante lettere che lui riceveva da parte di fedeli di altre città che chiedevano notizie su Natuzza e un suo parere sull’opportunità o meno di incontrarla.) Una sera il medico condotto di Paravati, Francesco Domenico Valente, riuscì a convincere don Silipo, fino ad allora risoluto nel ribadire: “La Chiesa deve restarne fuori!”, ad accompagnarlo dalla Evolo. “Durante la trance” riferì Maria Domenica “intervenne la voce roca di monsignor Giuseppe Morabito del quale mio zio era stato segretario; mio zio, emozionatissimo, rimase zitto e il colloquio con i defunti fu tenuto, come spesso avveniva, dal dottor Valente. Questi chiese al vescovo: “Diteci qualcosa dell’altro mondo!”. La voce rispose: “Ho conosciuto la cecità in codesto mondo, ora sono nella Visione Beatifica”. Fu un particolare, questo, che piegò definitivamente le ultime resistenze del parroco poiché lui era tra i pochi a sapere che negli ultimi anni di vita Morabito aveva effettivamente perduto del tutto la vista. Subito dopo, attraverso le labbra di Natuzza, si manifestò un’altra entità, quella del vescovo Albera, proprio lui, l’intransigente assertore dell’isterismo della giovane. Silipo ne riconobbe subito il caratteristico timbro di voce e trasalì ancora, restando però sempre muto. Valente chiese invece ad Albera dove si trovasse e gli fu risposto: “Al prato verde!”. Quest’ultimo nei messaggi che arrivavano dai defunti attraverso Natuzza corrispondeva a una sorta di stato intermedio, tra il Purgatorio e il Paradiso, dove le anime, senza più sofferenze, pregavano dopo aver scontato le pene del primo e in attesa di entrare nella pace eterna del secondo. Valente lo interrogò ancora: “Ma come, eccellenza, non siete in Paradiso?”. La voce di Albera concluse: “Avevo anch’io i miei difettucci!”.

Quella stessa sera si manifestò la madre, scomparsa diversi anni prima, di don Silipo, che a quel punto non resistette e le chiese dove si trovasse. La risposta lo convinse ulteriormente della veridicità di quelle comunicazioni, poiché si sentì rispondere: “Sai benissimo che il giorno in cui sono entrata in Paradiso tu hai detto una messa”. Ebbene, diverso tempo addietro un’anziana di Paravati, molto devota, gli aveva raccomandato di dedicare una messa a sua madre perché presto sarebbe entrata nel Regno dei Cieli. Il prete non aveva dato corda alla donna, ma si era convinto che comunque una messa avrebbe fatto bene all’anima della sua mamma e perciò l’aveva officiata il giorno seguente.

Da allora in poi, don Clemente, non esiterà più a esprimere apertamente il suo favore per Natuzza, ritenendo la “sua opera positiva nei confronti della fede”. E quando Nicodemo, il successore di Albera, gli intimò di non incontrare più la Evolo, ventilandogli addirittura il rischio di una sospensione a divinis, don Clemente con coraggio replicò:
Eccellenza, sento in coscienza di dover dire la verità: questa donna suda sangue e io vedo quando fa la Comunione, non fa assolutamente cose cattive. Con questo parlare di lei, in paese, non si fanno altro che Comunioni, preghiere, ascoltar messe; se questo è male, io preferisco essere sospeso a divinis.

Quanto a Rosa Silipo, l’altra nipote del canonico, ha raccontato anche di alcune sue esperienze dirette in casa di Natuzza:
Si andava a casa sua e si dicevano preghiere, rosari, poi si conversava con lei di vari argomenti. Ella era così dolce, pacata, sorridente, era piacevole sentirla, spesso venivano le suore, anche la Superiora dell’asilo di Mileto; a un certo momento, improvvisamente, Natuzza cadeva in trance mentre si conversava, ma qualche volta anche durante la recita del Rosario. Le anime che si presentavano avevano ognuno una voce diversa: voci maschili e femminili, di adulti, di giovani e di bambini; talvolta erano riconosciute dai presenti [...]. La trance durava quindici, venti minuti, mezz’ora e poi, quando ella rinveniva, non ricordava e non sapeva nulla di quanto era accaduto. La gente andava da lei a tutte le ore e lei non mandava via nessuno.

Fonte: Libro, Natuzza Evolo, il miracolo di una vita (Luciano Regolo) Mondadori.