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«Sento il peso delle sue mani» (Beato Don Timoteo Giaccardo )
L'operaio Costantino Tamone, addetto a una cartiera di un notevole
complesso, mise in moto la «continua»; erano circa le ore
19 del 20 settembre 1951.
Tutto funzionava regolarmente; solo in
un punto, all'ultimo gruppo di cilindri essiccatori si era prodotto
un accartocciamento del cartone, «che io stesso - narra il
Tamone - cercai di correggere accompagnandolo con le mani all'entrata
del cilindro essiccatore; nello sforzo mi scivolano i piedi,
istintivamente le mani cercano l'appoggio e in un attimo venni
afferrato con la mano sinistra nell'avvolgimento... Diedi uno
strappo-disperato, ma la morsa della macchina ormai non mollava più
e lentamente mi trascinava dentro; gridai affannosamente di
fermare... e intanto la macchina mi succhiava tutto il braccio fino
alla spalla premuta contro il cilindro essiccatore, la cui superficie
aveva circa 130° centigradi di calore, e il torace mi si
schiacciava contro l'opposto rullo di entrata. Mi vidi perduto!
Un
razzo, il baleno di un lampo: Don Timoteo Giaccardo!... La macchina
si arrestò! Cosa era avvenuto? Un operaio, nel lavorio
affannoso che facevano tutti attorno a me, era scivolato andando a
sbattere col fianco contro la leva di arresto, facendola agire. Mi
sentivo mancare ma ebbi ancora la forza di spiegare loro il modo più
sollecito per togliermi. Estremamente difficile il trasporto e il
collocarmi nell'auto poiché le costole rotte premevano sul
pneuma causandomi il soffocamento. Giunti all'ospedale di Tolmezzo
(18 km circa da Ovaro), il prof. Farello, chirurgo primario, dopo
avermi osservato e ritenendo che io non fossi più in
condizioni di intendere, disse ai presenti: "Mi avete portato un
rottame umano ormai, vi confesso che non so dove mettere le
mani"...
Dopo circa un mese, eliminati tutti i tessuti
bruciati della metà di tutto il braccio, tutta la spalla e
parte della mano, non rimase che l'osso pulito, al che il professore
disse:
"Mi scusi la ruvidezza dell'espressione, le devo dire
che, data la sua età (64 anni), i tessuti non si faranno più,
data anche l'ampiezza dello scoperto; comunque tenteremo con degli
innesti"... Mia moglie pregava lì accanto, io soffrivo
ancora orribilmente... Erano le ore 10 circa; un pallido raggio di
sole d'autunno entrava dall'ampia finestra per cui la camera era
piena di luce e vedevo, vedevo bene! Un moto istintivo mi fa
rivolgere gli occhi alla porta... Don Timoteo Giaccardo inquadrato in
essa mi guardava e sorrideva mesto... Mi mancò il respiro...
Avanza nella camera fino ai piedi del letto; sento il peso delle sue
mani sulla coltre ai miei piedi... Caccio un urlo inumano. Mia
moglie... fa un balzo e mi fa eco spaventata. Io col dito teso
balbetto... Lì, lì, Don Timoteo Giaccardo! Accorrono
suore e infermiere. Passato il tremendo affanno descrissi ai presenti
la scena, a suor Domitilla e a suor Anna; quest'ultima si commosse;
suor Domitilla scrollò le spalle e brontolò
"Allucinazioni, non bisogna dar peso".
Pochi giorni
dopo, sfasciando, il professore meravigliato mi fece vedere che si
era formata una specie di muffa bianca, che lui chiamò
pigmento, e circa 20 giorni dopo il mio braccio era tornato quello di
prima... il 6 dicembre lasciavo finalmente l'ospedale e, giunto in
cartiera, seppi che il prof. Farello aveva visitato lo stabilimento,
e che fermatosi a osservare dov'era avvenuto l'infortunio aveva
detto: "Non riesco a spiegarmi, data la ristrettezza del
passaggio, come non si siano schiacciati irrimediabilmente braccio,
spalla e torace"».
A. Lamera, Lo spirito di Don Timoteo Giaccardo, Edizioni Paoline, 1956, pp. 340-341. Don Timoteo Giaccardo (1896-1948) è stato proclamato Beato il 22 ottobre 1989.